Il contratto di privatizzazione
Se uno volesse trovare un leitmotiv fra le politiche pubbliche degli ultimi tempi verrebbe da dire che – per un curioso controsenso – è l’amore per il privato. Che si parli della stretta del Comune di Roma verso la privatizzazione delle municipalizzate o della ‘Maker Faire’, la fiera di metà ottobre delle aziende innovative tenuta alla Sapienza (che farà pagare perfino l’accesso agli studenti), ormai pare che l’unico obiettivo che le istituzioni pubbliche centrali e locali sono in grado di portare avanti sia capire come contaminare di privato ciò che è (ancora) pubblico. E questo, cavalcando nell’opinione pubblica l’idea che l’unica alternativa alle inefficienze del pubblico sia quella di passare al privato. Le strade di Roma sono sporche perché l’Ama è sottodimensionata? Appaltiamo lo spazzamento ai privati. Non ci sono fondi pubblici per la ricerca scientifica? Facciamola fare ai privati anche se è finalizzata solo all’industria. Le politiche per il lavoro non funzionano e i neolaureati sono disoccupati? Riempiamo le università di operatori di agenzie per l’impiego private (ex interinali) come Manpower, Adecco e GiGroup.
In tema di lavoro poi, la Regione Lazio ha confezionato in questo senso un pacchetto formidabile e quello che doveva essere il sistema miracoloso per il reinserimento occupazionale, la sperimentazione massima da replicare in tutte le regioni d’Italia, si è rivelato invece il sistema perfetto per finanziare le aziende private specializzate nei servizi per il lavoro e farle entrare nel circuito delle politiche pubbliche per l’occupazione. Già tempo fa parlavamo in un articolo del contratto di ricollocazione, uno strumento rivolto ai disoccupati con più di 30 anni che si pone in continuità con Garanzia Giovani e ha l’obiettivo di rioccupare soggetti svantaggiati come i disoccupati di lungo periodo e le persone adulte. Il bando nella sua versione finale è questo qui e prevede sei mesi di orientamento e formazione durante i quali le agenzie private per il lavoro e gli enti di formazione supportano il disoccupato nella ricerca del lavoro – ottenendo fino a 4000 euro (!!) se riescono a trovare lavoro a un disoccupato e 800 (!!) se non riescono a trovarglielo -, mentre nel frattempo il lavoratore riceve un’indennità ridicola di circa 2400 euro in sei mesi.
Fin dall’inizio questo sistema ci è sembrato, per usare un termine tecnico, una presa per il culo, in quanto anche in seguito al fallimento di Garanzia Giovani sembrava piuttosto chiaro che il problema del lavoro non fosse il ‘matching’ tra domanda e offerta ma che il lavoro non c’è. Ma questo sembra sfuggire alla Regione che ha ben pensato di reiterare il sistema parcheggiando 2000 disoccupati (un numero infimo rispetto ai disoccupati del Lazio) a fare più di 110 ore di orientamento al lavoro (per gente adulta e che ha già lavorato…) dandogli un sussidio minimo per campare. Ora, se vogliamo pensare bene potremmo dire che siccome né Regione né Governo né Unione Europea sanno dove sbattere la testa per creare occupazione, hanno trovato questo sistema per dare due spicci ai disoccupati per tenerli buoni e far finta di star facendo qualcosa, aspettando e sperando che da qui a sei mesi qualcosa accada e la condizione economica e produttiva del paese migliori. Se vogliamo pensar male, dobbiamo invece dire che tutto ciò ha permesso di dare bella ‘privatizzata’ e di finanziare quello strato di intermediari fatto di agenzie private, enti di formazione e sindacati confederali, illudendo tutti che siano questi gli unici detentori delle opportunità di lavoro. Tralasciando il rischio tangibile di ricreare un Mafia Capitale due – questa volta sulle spalle dei disoccupati invece che sugli immigrati -, le priorità sembrano chiare: il bando per gli intermediari prestatori dei servizi prevede 6 milioni di euro mentre il bando per i disoccupati, quelli che dovrebbero essere i veri destinatari dell’intervento, ne stanzia solo 4,7. E l’assurdità è che quei 6 milioni potrebbero andare tranquillamente ai disoccupati se i servizi fossero erogati dai Centri per l’Impiego pubblici che avrebbero benissimo tutte le competenze necessarie se solo le istituzioni decidessero di investirci. Invece, meglio dire che siccome i CPI pubblici non funzionano, allora meglio appaltare il servizio ai privati.
Di questa strategia abbiamo avuto conferma proprio in questi giorni, quando insieme alla Lista dei Disoccupati e Precari del VII Municipio siamo andati al Centro per l’impiego di via Vignali, a Cinecittà, per parlare con i disoccupati che si sarebbero dovuti recare lì per avere informazioni sulle iscrizioni al contratto di ricollocazione aperte tra il 30 settembre e il 9 ottobre. Con stupore nostro e dei numerosi disoccupati presenti, arrivati lì abbiamo trovato un bel foglio a4 attaccato alla porta in cui si diceva che lì non ne sapevano niente e di tutta Roma l’unico Centro per l’impiego che aveva informazioni sul contratto di ricollocazione era Portafuturo. Cosa piuttosto emblematica, visto che Portafuturo rappresenta l’anello di congiunzione tra un Centro per l’impiego (in quanto ufficialmente pubblico e finanziato con fondi europei) e un’Agenzia per il lavoro privata, essendo caratterizzata spiccatamente da partecipazioni private e spazi rivolti alle imprese. Quando poi a Portafuturo ci siamo andati, la situazione ci è sembrata ancora più chiara: in tutto abbiamo incontrato 3 (non metaforicamente, proprio tre) persone e le informazioni che venivano date sul contratto di ricollocazione non erano né più né meno quelle essenziali per iscriversi, deducibili anche dal sito. In pratica, un servizio che avrebbe potuto svolgere un qualsiasi Centro per l’Impiego, ma meglio di no, perché si sa che ormai il pubblico è da sfigati.
Insomma, il privato pare avere sempre più la strada spianata nei diversi comparti istituzionali, e in fondo c’era anche da aspettarselo viste le pressioni in questo senso ricevute dall’Unione Europea negli ultimi tempi. Li ricordiamo bene tutti i punti del memorandum greco che parlavano di una stretta sulle privatizzazioni e, oh, MICA noi vogliamo fare la fine della Grecia? Come al solito, l’UE chiama e il governo – centrale o locale che sia – risponde.
Di seguito riportiamo il materiale che abbiamo distribuito insieme alla Lista dei disoccupati e precari del VII Municipio, da diffondere.