il dissidente
Fidel è diventato un dissidente? Certo che si. Capitalismo, colonialismo, imperialismo, sfruttamento… Fidel dissente contro il dominio mondiale e i suoi artefici da decenni, che c’è di nuovo?. Ieri tutti i media mainstream dedicavano grande spazio alla cosiddetta abiura del socialismo da parte di Fidel dimostrando ancora una volta di quale pessima salute goda la cosiddetta libera informazione occidentale. Tutto nasce da una frase, “il modello cubano ormai non funziona neanche per noi”, riportata (male) dal giornalista statunitense Jeffrey Goldberg e rilanciata dalle agenzie di stampa di mezzo mondo. Ora, di fronte ad una presunta capriola ideologica così eclatante, e per di più fatta da un uomo che è da tempo considerato un’icona del pensiero socialista, sarebbe stato lecito aspettarsi un maggiore sforzo di indagine da parte di tutti. Non fosse altro che per difendere la propria credibilità un qualsiasi giornalista degno di tale nome (e non per forza progressista) avrebbe dovuto quantomeno leggersi l’intero articolo originale, contestualizzarlo e verificare l’attendibilità di un collega come Goldberg che di fronte ad un ipotetico scoop politico di tale portata, invece di approfondire la questione preferisce dilungarsi su Fidel e i delfini (leggi). Avrebbero dovuto farlo per assicurarsi che quello che stavano per scrivere, se non vero fosse almeno verosimile. E invece no. I vari Omero Ciai, Rocco Cotroneo e gli altri scriba del capitale si sono messi tutti a fare a gara a chi la sparava più grossa: Fidel ha cambiato idea, il socialismo è fallito e bla bla bla. A esser cattivi verrebbe quasi da dire che su questa vicenda, più che la voglia di informare, abbia pesato il desiderio di rivalsa di chi da oltre 20 anni pronostica crolli sociali che puntualmente non si verificano. Una realtà virtuale in cui poter finalmente dire, anche solo per un giorno: avevamo ragione noi. Crediamo però che alla base di questa opera di disinformatia ci sia anche dell’altro. Ovvero l’eurocentrismo atavico, l’ignoranza crassa e il pregiudizio nei confronti di un sistema sociale che qui da noi viene sempre descritto con toni grotteschi e caricaturali. Nei cervelli di questi signori, ingessati dall’ideologia dominante, Cuba non è altro che un’isola museo dove tutto è immobile. Una Jurassik Park del socialismo dove non c’è nessuno spazio per il dibattito e la critica. Lungi da loro l’idea che i cubani per primi considerino la loro rivoluzione perfettibile e, cosa che ripetono da oltre 50 anni, non esportabile tal quale in nessun altro Paese del mondo. E’ dalla fine del periodo especial che sull’isola ci si confronta vivacemente su come superare i propri limiti e su come affrontare le nuove sfide nel solco del socialismo. Questioni anche spinose che non vengono nascoste sotto il tappeto ma che diventano oggetto di dibattito pubblico. L’eccessiva dipendenza dalle importazioni per l’approvvigionamento alimentare e la sottoutilizzazione delle superfici coltivabili, la doppia moneta, il contenimento di alcune sperequazioni legate al turismo e alla join venture con alcune società straniere, il progressivo invecchiamento della società e il peso che questo comporterà per il sistema di sicurezza sociale, la necessità di aumentare salari e pensioni, l’eliminazione di alcuni divieti che se avevano un senso molti anni fa oggi risultano obsoleti… problemi concreti che oggi sono sul piatto della rivoluzione e che fanno di Cuba un laboratorio a cielo aperto di fondamentale importanza per chiunque si ponga come meta l’orizzonte della trasformazione sociale. E questo spiega anche il forte impegno pubblico profuso da Fidel in queste ultime settimane. Quella che tutti i commentatori avevano provato a raccontare come una sfida alle riforme di Raul, una lotta intestina fra filocinesi e ortodossi, in realtà è un forte messaggio di unità al popolo cubano e al mondo, ogni trasformazione non potrà che realizzarsi nel quadro del socialismo, con buona pace dei gusanos che se dovranno restare a Miami.
PS Se qualcuno avesse dei dubbi sulla capacità di autocritica dei cubani lo invitiamo a leggersi quello che disse Fidel in un durissimo discorso pubblico tenuto all’università dell’Avana il 17 novembre del 2005, ossia 5 anni prima del presunto scoop di Goldberg (leggi).