Il governo del cedimento
Avrebbe dovuto essere la manovra del cambiamento e invece quello a cui abbiamo assistito è stato il cambiamento della manovra, per giunta sotto dettatura dell’Unione Europea che, almeno fino a febbraio, continuerà comunque a vigilare sui nostri conti non fidandosi affatto delle rassicurazioni del governo italiano. Qualche settimana fa Mario Monti, in un’intervista divertita al Corriere della Sera, e cogliendo purtroppo nel segno, aveva descritto questo particolare frangente del rapporto tra un governo “ribelle” e Bruxelles come “il momento Tsipras”: ovvero quell’esatto istante in cui il populista di turno (di destra o di sinistra poco importa) non regge più il bluff del tiro alla corda e dunque è costretto a calare le braghe, accettando tutte le richieste della Commissione. Tanto per ribadire il concetto l’ex idolo delle sinistre europee aveva anche ammonito il governo italiano: arrendetevi subito, perché dopo sarà peggio. Ieri Antonio Polito ha esposto il concetto in maniera forse meno sarcastica, ma ugualmente puntuale.
Dopo 4 mesi di “me ne frego” e di “non ci sposteremo di una virgola” Salvini e Di Maio hanno quindi dimostrato di essere più che ligi ai diktat della UE, e la virgola l’hanno spostata eccome. Il passaggio dal 2,4 al 2,04 del rapporto deficit/Pil (senza voler cambiare i numeri 2 e 4 nel patetico tentativo di mascherare la sconfitta agli occhi di un’opinione pubblica magari un po’ distratta dagli sforzi per arrivare a fine mese) ha significato concretamente un taglio di circa 10 mld di euro e ha reso quella del governo giallo-blu la manovra più timida e meno espansiva dai tempi dell’ultimo governo Berlusconi.
A rendere la sconfitta ancora più bruciante ci ha poi pensato Macron che, mentre il governo italiano elemosinava sui decimali, per venire incontro alle proteste del Gilet Gialli ha potuto tranquillamente allentare i cordoni della borsa portando il rapporto deficit/Pil della Francia per il 2019 al 3,4%. Il tutto senza incorrere nelle reprimende o nelle minacce da parte di qualche euroburocrate e dimostrando così, per l’ennesima volta, quali siano le reali gerarchie all’interno dell’Unione Europea.
Se Atene piange, però, Sparta non ride. L’impressione è che da questa situazione ne usciremo con un’ulteriore slittamento a destra del quadro politico. Perché a pagare lo scotto di questo bagno di realtà saranno soprattutto i cinque stelle, mentre Salvini potrà comunque capitalizzare la sua lotta a costo zero contro i più poveri e i migranti. La “sinistra reale” nel suo complesso sembra invece incapace di sfruttare l’occasione per recuperare almeno un po’ del terreno perduto convinta ancora com’è, almeno in larga parte, che la causa del problema, ovvero l’Unione Europea, possa invece rappresentarne la soluzione. Eppure l’ennesimo fallimento populista dovrebbe averlo dimostrato: o rompi o ti pieghi. Non ci sono altre strade.