Il riformismo è una tigre di carta
Questa mattina, anticipato da un tweet del primo ministro belga, è arrivato l’accordo tra la Grecia ed il resto dei paesi dell’eurozona. Questa volta, di fronte a quella che può essere definita senza timore di smentita una capitolazione incodizionata di Atene nemmeno i fan più accesi di Tsipras potranno riuscire a vedere il bicchiere mezzo pieno… anche perchè i cosiddetti “creditori” si sono presi pure quello. Innalzamento delle pensioni, aumento dell’IVA, liberalizzazioni e privatizzazioni, “riforma” del mercato del lavoro, taglio dei salari. Una scure neoliberista sta per abbattersi su una popolazione già martoriata da anni di austerità. Basterà qui ricordare come proprio grazie alle ricette dei “creditori” dal 2009 ad oggi: gli stipendi sono stati ridotti del 37%, le pensioni fino al 48%, i dipendenti pubblici sono diminuiti del 30%, la spesa per consumi è scesa del 33% e tutto questo non ha potuto che determinare pesanti effetti recessivi sul PIL che è sceso per 18 trimestri coinsecutivi, con una perdita totale del 27% a fronte di una disoccupazione “ufficiale” del 27% ed un 34% di lavoro nero. Come se non bastasse l’eurogruppo ha subordinato il varo del programma di “aiuti” alla realizzazione in tempi celeri, celerissimi, (entro mercoledì) delle prime riforme, ed ha imposto la costituzione di un fondo di garanzia a tutela dei creditori di 52 miliardi di euro da realizzarsi attraverso la privatizzazione di alcuni assets pubblici. In altre parole la Grecia è stata ipotecata e commissariata. Tutto questo a soli 7 giorni da un referendum popolare che, al di la delle interpretazioni di comodo e delle formulazioni bizantine, aveva detto chiaramente No ad ogni ulteriore dose di austerità. Ma probabilmente sta proprio qui il nodo della questione. La partita che si è giocata in questi mesi e che sembra essersi chiusa a favore di Bruxelles, è stata una partita politica prima ancora che economica. Come abbiamo scritto altre volte, in termini assoluti il debito greco è ben poca cosa (poco più di 300 miliardi) se confrontato con quello di altri paesi come ad esempio l’Italia (più di 2000 miliardi) e procedere ad una sua ristrutturazione avrebbe avuto un peso limitato sulle economie degli altri paesi. Bruxelles ha però voluto parlare a nuora perchè suocera intendesse e il messaggio è stato chiaro e inequivocabile: non è possibile nessuna deroga all’impianto mercantilista dell’Unione Europea. A chi durante la conferenza stampa gli faceva notare che i termini dell’accordo erano ancora più duri di quelli rigettati dalle urne oggi Junker rispondeva sibillino: lo avevamo detto che dopo il referendum le condizioni sarebbero peggiorate. Una lezione dunque, che deve servire da monito per tutti gli altri paesi, ma una lezione che crediamo debba essere analizzata e fatta propria anche dai compagni e da chiunque non si rassegna allo stato di cose presenti. Le vicende greche di questi ultimi mesi sono state la dimostrazione in corpore vili di quanto una parte purtroppo ancora minoritaria della sinistra di questo paese va dicendo da tempo: l’Unione Europea è irriformabile ed al suo interno non esiste alcuno spazio per una qualsivoglia mediazione sociale anche se solo blandamente riformista. Il limite strategico di Tsipras sta proprio nell’aver creduto di poter restare nell’euro e nell’UE e al contempo, forte del mandato elettorale, ripristinare la sovranià popolare. una contraddizione insanabile che adesso sta pagando duramente. E più di lui la sta pagando il popolo greco.