Il ritorno della sinistra imperiale
«Chi non sa con quale facilità nella santa Russia un intellettuale radicale, un intellettuale socialista si trasforma in un funzionario del governo imperiale, in un funzionario che si consola al pensiero di essere “utile” nei limiti della prassi burocratica, in un funzionario che giustifica con questa “utilità” la propria indifferenza politica, il proprio servilismo…?»
Lenin, I compiti dei socialdemocratici russi, 1897
Il criceto umanista gira a vuoto e senza memoria: ogni volta si riparte dal punto zero. Iraq, Serbia, Kosovo, Afghanistan, ancora Iraq, e poi Libia, Siria, Venezuela…“Soleimani non è il nostro eroe”, così come non era il nostro eroe Milosevic o Saddam o Gheddafi o Assad o Chavez o Maduro. O i mille altri leader e popoli bombardati ed espropriati di una qualsivoglia sovranità che non fosse quella decisa e imposta dalla Nato, e dagli Usa in particolare. Capovolgendo ragionamenti e realtà dei fatti, l’onere della prova non spetta alla mano assassina ma al morto: non “perché è stato ucciso”, ma perché non meritava di morire? Il problema non sono più dunque le politiche imperialiste occidentali, l’ingerenza militare esterna, con i suoi agenti di prossimità manovrati da referenti vieppiù radicali e radicati (Usa, Nato, sauditi, israeliani, Isis…), ma gli Stati, i governi e i popoli che, resistendo a questa ingerenza, lo fanno seguendo politiche indigeste ai dipartimenti universitari occidentali, laddove prospera la monocultura liberale-radicale. E dunque Soleimani – inteso come sineddoche dei mille Soleimani del mondo che si oppongono all’imperialismo occidentale – “non era certo un compagno”, quindi si meritava di morire. È una guerra tra pari, tra soggetti di pari valore reazionario: poco deve interessarci anzi: né con gli Usa né con l’Iran, motto che riecheggia sinistri presagi di ignavia.
Il mondo, tuttavia, resta ancora molto eterogeneo. Il coercitivo imperialismo delle nazioni avanzate è in grado di esistere solo perché restano sul nostro pianeta le nazioni arretrate, le nazionalità oppresse, i paesi coloniali e semicoloniali. La lotta dei popoli oppressi per l’unificazione nazionale e l’indipendenza nazionale è doppiamente progressiva perché, da un lato prepara condizioni più favorevoli per il loro proprio sviluppo, mentre dall’altro infligge dei colpi all’imperialismo. Questa, in particolare, è la ragione per cui, nella lotta fra una civilizzata, imperialista, democratica repubblica e un’arretrata, barbarica monarchia in un paese coloniale, i socialisti stanno interamente dalla parte del paese oppresso, nonostante la sua monarchia, e contro il paese oppressore, a dispetto della sua “democrazia.
Trotskij, Lenin e la guerra imperialista, 1938
In questo calderone infame a venire meno è la realtà: che l’Iran sia uno Stato storicamente subalterno e dipendente dall’imperialismo occidentale; che sia accerchiato da decine di avamposti militari statunitensi e israeliani; che sia situato in un area di controllo strategico statunitense e israeliano; che resista alla sottomissione occidentale, tentando quelle vie di fuga e di resistenza consentite dalla realtà: tutto ciò non tange minimamente i “ragionamenti” della sinistra euromane, schierata a difesa della realpolitik americana, coperta dall’ignavia confusa per “anticampismo”. Soleimani non era un “eroe”, forse (per giudicare, dovremmo aver vissuto decenni e secoli di sottomissione coloniale, di violazione imperialista del nostro territorio e della nostra popolazione, cosa che non è avvenuta, al di là delle ciance massimaliste con cui riempiamo le bacheche social).
[Frantz Fanon, I dannati della terra, 1961]
Come non è un “eroe”, per dire, Salvini. Eppure, se un drone americano bombardasse il territorio italiano e colpisse Salvini, poco importerebbe delle qualità umane e politiche di chicchessia: la violazione della sovranità – non della sovranità “capitalista”, ma della sovranità della popolazione italiana formalmente intesa – ne verrebbe intaccata tanto quanto. Il “problema Salvini” verrebbe immediatamente ridimensionato da un problema più importante. Questo accade in Medioriente, in Africa e in America Latina da decenni, e in particolare in questo ultimo quindicennio di guerre aperte e per procura. Intere regioni del mondo che ancora non sono sottomesse al controllo americano-occidentale vivono costantemente il rischio di venire attaccate, invase, colpite da mano occidentale: sono forse i nostri referenti politici ideali? Probabilmente no, ma: ha davvero senso chiederselo? La questione palestinese è determinata dal governo di Hamas o dall’occupazione coloniale israeliana? Rimuovere Hamas con le bombe americane o israeliane porterebbe ad una soluzione dignitosa della questione palestinese? Prima di Hamas, con Fatah o col Fronte popolare, l’occupazione era forse meno violenta e illegale? Bombardare l’Iran per mano occidentale lo renderebbe finalmente una “democrazia”? L’Iraq finalmente “de-saddammizzato” è una terra più democratica, meno asservita alle potenze internazionali? Oppure è una terra completamente privata di indipendenza politica? La sostituzione di Assad e lo smantellamento della Siria porterebbe ad un avanzamento delle condizioni sociali, economiche e politiche della popolazione siriana? O alla costituzione di un altro – ennesimo – Stato dipendente dai voleri della geopolitica americana e israeliana?
Per lungo tempo ho creduto che fosse possibile abbattere il regime irlandese mediante la ascesa della classe operaia inglese. Ho sempre sostenuto questo parere nella ‘New York Tribune’. Uno studio più approfondito mi ha convinto ora del contrario. La classe operaia inglese ‘non farà mai nulla’, prima che si sia liberata dell’Irlanda. Dall’Irlanda si deve far leva. Per questo motivo la questione irlandese è così importante per il movimento sociale in genere.
Carteggio Marx-Engels, 10 dicembre 1869
E dunque: ha davvero senso domandarsi delle qualità umane e politiche dei morti per mano americana? Non sono, al contrario, tutti quanti accomunati da un unico motivo, quello di essere contrari e contrapposti al dominio imperialista americano, e per questo al centro dei piani di eliminazione personale e di invasione nazionale? C’è una verità nelle vicende storiche? O queste finiscono per perdersi nei mille rivoli delle singole verità, à la carte, dove ciascuno si costruisce la sua verità, se ne sceglie una a sua discrezione, in base ai suoi gusti personali, alla sua cultura, alla sua condizione sociale? La moltiplicazione delle verità è l’attuale caos entro cui ci muoviamo, in cui tutto perde di distinzione e valore obiettivo, ritrovandoci così in una notte in cui gli Usa e l’imperialismo occidentale sono uguali all’Iran – ai mille Iran del mondo, su di un piano di identica valutazione politica. È questa l’impressione che le società occidentali danno al mondo esterno e sottomesso, non a caso giudicate in blocco come campo di nemicità: quale colonna antimperialista dovrebbero d’altronde scorgere in società compattamente schierate a difesa del proprio privilegio?