Il ruolo della sinistra dirittoumanista nelle aggressioni internazionali: una discussione intorno “soft power” umanitario funzionale alle politiche imperialiste
Sono passati anni ormai dalle grandi manifestazioni in cui la “sinistra” istituzionale si facevano baluardo del pacifismo, con una retorica tuttavia non priva di ambiguità. Ora come ora stiamo assistendo a quello che forse può essere definito un crescente cedimento alle politiche di guerra degli stati forti, alle bombe per la democrazia: un cedimento che a volte volente, altre volte nolente finisce per assumere inquietanti contorni di complicità. In tutto questo un ruolo tutt’altro che secondario è svolto da quello che può essere definito un vero e proprio blocco sociale piuttosto composito, fatto di Ong tutt’altro che neutrali, partiti vari e istituzioni che convogliano talvolta slogan populisti che cozzano con la loro attività di intervento e appoggio alle politiche imperialiste. Una funzione importante è senz’altro svolta dai media mainstream e dalla scientificità tutta ideologica del pensiero accademico. L’abbiamo visto con la Jugoslavia, il Venezuela, l’Iraq, la Libia, l’Ucraina e lo stiamo vedendo con la Siria, lo Yemen, il Bahrein. Persino la resistenza del Rojava e del popolo curdo diventa una vicenda priva della sua portata politica, mentre campeggiano sulle prima pagine dei giornali le foto delle guerrigliere curde in lotto contro l’Isis. Viene messa in atto una narrazione superficiale, di comodo, di parte, che mistifica la realtà di questi popoli stretti tra guerra e fame, povertà e sangue. Molto spesso, purtroppo, anche le varie associazioni, i vari comitati, ma anche collettivi e singoli militanti della cosiddetta sinistra radicale finiscono per cadere in questa trappola mediatica, prestandosi, giocoforza, alla costruzione di quell’opinione pubblica, ovunque e in nessun luogo, necessaria se non a sorreggere, per lo meno a avallare silenziosamente le mire politiche, economiche e militari dei paesi imperialisti. Giornali, Tv e “società civile” fanno leva su ragionamenti impregnati di un “umanitarismo cristiano” che emerge ogni volta che i soggetti in causa fanno parte dei paesi più poveri, come se loro non fossero in grado di autodeterminarsi senza l’ingerenza dei paesi “democratici”, senza l’esportazione del modello di società capitalista in cui sono sempre gli ultimi del mondo a pagare. Risulta sempre più necessario comprendere e organizzarsi: ciò che sta accadendo attorno a noi, in America Latina, in Europa, in Africa come in Medioriente ci tocca molto più da vicino di quanto non pensiamo. Lo vediamo ogni giorno quando dall’alto ci dicono che non ci sono i soldi per sostenere il sistema di welfare eppure continuano ad acquistare equipaggiamenti militari; quando personaggi xenofobi e razzisti come Salvini fondano il loro populismo sul “problema immigrati”, senza mai accennare al fatto che le migliaia di migranti che affondano vicino alle nostre coste si trovano coinvolte in una competizione globale tra lavoratori dovuta all’assoggettamento sempre più stringente della forza lavoro da parte del capitalismo neoliberista, in fuga da conflitti tutt’altro che estranei alle destabilizzazioni politiche e militari, agli interventi internazionali dei nostri governi. La comprensione, l’approfondimento e il confronto collettivo sono allora più che mai necessari, per sciogliere nodi che da troppo tempo favoriscono contraddizioni interne che il potere politico-mediatico sfrutta a suo vantaggio, “legittimandosi” a sinistra oltre che a destra: per farlo abbiamo scelto l’università, che possa essere un vero e proprio luogo d’incontro e di scambio e non un inutile “esamificio”.
Ne parliamo insieme mercoledì 10 giugno, nell’aula Conversi della facoltà di Fisica dell’Università la Sapienza con: Michel Collon (saggista e giornalista indipendente, direttore del sito di controinformazione “Investig’action”), Geraldina Colotti (giornalista e militante rivoluzionaria), Vladimiro Giacchè (economista e saggista, autore de “La fabbrica del falso”).