Il trionfo della “facciocrazia”
Si è chiusa da poche ore la campagna elettorale più insipida che Roma ricordi; un giudizio non solo nostro ma che vede concordi molti analisti politici e che si riflette in quel -9% di votanti registrato dal Viminale alle 19. Nei prossimi giorni ci sarà ovviamente tempo e modo per analizzare i risultati a “bocce ferme”, però nel frattempo qualche riflessione la possiamo anche fare. In queste settimane abbiamo assistito al solito florilegio di facce e faccioni che ci chiedevano ammiccanti il voto ad ogni angolo di strada, tanto che anche il più insignificante candidato al consiglio del municipio di zona ha sentito il bisogno di allietarci con la sua fotografia di tre quarti e col sorriso sgargiante. Una degenerazione individualistica della politica che da qualche anno ha contagiato anche l’a-sinistra radicale e che sembra aver trasformato i partiti da organizzazioni collettive in meri album delle figurine in cui si compete per una preferenza in più piuttosto che per un’idea comune. Qualche “genio” di spin doctor deve aver convinto anche i più restii che “metterci la faccia” avvicina l’elettore al candidato, forse sarà anche così, ma i dati per il momento vanno in tutt’altra direzione. Fatto sta che a sparire in questa tornata elettorale sono stati proprio i partiti. Per la prima volta da quando ne abbiamo memoria nessuno di questi, fatta eccezione per Rifondazione, ha stampato un solo manifesto di invito al voto per la lista. I Vota PD, vota SeL, Vota Pdl e compagnia cantante sono completamente scomparsi dai muri della città per far posto a loro… alle facce. E’ anche per questo motivo che in questi giorni abbiamo indossato maschere bianche ed anonime, perchè nella nostra idea di politica il collettivo viene sempre prima del singolo.