Immagini della putrefazione politica della sinistra
Come regalare altri milioni di consensi e voti al “populismo”, e come al contempo riuscire nell’ardita impresa di farsi odiare visceralmente da quel “popolo” con cui non si hanno più relazioni, nè umane né tantomeno politiche? Ce lo sta mostrando in questi giorni la “sinistra”, o almeno una parte rilevante di questa, intruppatasi a difesa dei Benetton e del capitalismo privato. Le immagini e le parole nauseabonde urtano ogni sensibilità popolare, collaborando col nemico pur di salvaguardare la propria rendita intellettuale messa in crisi dal populismo di governo. Michele Prospero, ad esempio. Il prototipo più conseguente del baronismo universitario, legato mani e piedi al regime democratico post-comunista, così scrive dalle colonne del Manifesto: «il governo approfitta dei cadaveri e delle macerie ancora calde per sperimentare gli effetti del populismo penale. […] Il governo del cambiamento, senza alcun bisogno di attendere accertamenti, risultanze di inchieste, perizie tecniche, ha avviato le procedure per la revoca sommaria delle concessioni alla società che gestisce le autostrade in combutta con la vecchia politica». La lotta politica sostituita dal cavillismo procedurale, la verità della tragedia nascosta tra le pieghe dell’azzeccagarbugli giuridico, pur di evitare il corpo a corpo con la nazionalizzazione, che è sempre un atto d’imperio, quindi giuridicamente ambiguo. Può dormire sonni tranquilli il cadreghista universitario, non ci sarà nessun esproprio né nazionalizzazione, tutto rimarrà come prima. Il problema tornerà ad essere Renzi e le correnti interne al Pd.
Prosegue Luigi Ambrosio su Radio Popolare, così delirando: «Di Maio e soci hanno montato una campagna di aggressione contro un gruppo industriale e, ancora più grave, contro delle persone in carne e ossa, i Benetton. È stato individuato il colpevole senza aspettare processi e sentenze della magistratura. E’ stato del tutto calpestato il principio fondamentale che gli anglosassoni chiamano “rule of law” e che da noi può essere tradotto in rispetto dello Stato di Diritto».
Ci mette del suo anche Euronomade, dove, in un pezzo di rara incomprensibilità, si legge: «Non è stata austerità: per quel ponte si sono spesi più soldi che in tutto il new deal; Non è stata mancata previsione: ci sono fior di studi, che si sovrappongono da decenni; dotti, medici e sapienti sono stati convocati al suo capezzale; Non è stato per la resistenza alla gronda, la cui realizzazione non prevedeva l’abbandono di quel miracolo di ingegneria popolare; Non è colpa delle privatizzazioni, o meglio l’assetto proprietario è irrilevante, in quanto ogni costo è addebitato allo stato, con il volere di tutte le forze del mitico arco costituzionale, e poi, non è che l’intervento dello stato sia garanzia di risultato».
E potremo proseguire con citazioni che farebbero impallidire persino Repubblica, dove addirittura Nadia Urbinati dalle colonne del giornale scriveva: «La tragedia di Genova è un frutto avvelenato delle privatizzazioni combinate alla decadenza della classe dirigente». Ecco, persino Repubblica. Tutti insomma, tranne la sinistra, schierata sul fronte che comprende Sole 24 Ore, Unione europea e Partito Democratico. Se serviva un’immagine limpida dello scollamento epocale tra sinistra e popolo, la vicenda di Genova ce la restituisce laddove non erano ancora arrivate intere librerie di pensosi filosofi della politica.