Italiani? Sempre brava gente
Tra le tante riflessioni che si potrebbero fare sulla visita di Gheddafi, c’è di sicuro quella sulle ancora persistenti difficoltà degli italiani di fare i conti con il proprio passato imperialista. Nonostante il continuo battersi il petto in finte manifestazioni di cordoglio, ancora non si vuole, infatti, comprendere davvero la portata della politica coloniale italiana in Africa. Si ammettono i “crimini italiani”, ma solo per non fare i conti davvero con essi.
Ieri Gheddafi ha fatto un’affermazione incontrovertibile: “Gli storici dicono che il maresciallo Graziani è stato il maestro di Hitler per i campi di concentramento e l’Olocausto. Lo stesso sistema è stato usato contro i libici. Nei campi morivano cinquanta libici al giorno, donne, uomini, bambini”. Nessuno, dotato di buon senso e di un minimo di conoscenze storiche, potrebbe contestare questa affermazione. Lo fa, invece, il Corriere della sera: secondo il giornalista Goffredo Buccini, infatti, “il rais riscrive la storia”, “incomincia a maneggiare direttamente la storia” (leggi). E perché mai starebbe riscrivendo la storia, verrebbe da chiedersi? Cosa c’è di falso nell’affermazione di Gheddafi? Non si sa. Secondo Buccini la sta riscrivendo e basta, ci dobbiamo accontentare del suo giudizio.
I 16 campi di concentramento italiani in Libia vengono quasi completamente rimossi nell’articolo di Buccini che, descrivendo i pannelli della mostra, parla “solo” di “fucilazioni, gas tossici, deportazioni di massa, fino all’esecuzione di Omar El Mukhtar, il Leone del Deserto impiccato a quasi settant’anni e morto invocando il suo Dio dal patibolo”: solo alla fine Buccini vi fa brevemente accenno. Eppure proprio Omar El Mukhtar è stato ucciso nel campo di concentramento di Soluch, quello che lo storico Angelo Del Boca non esita a paragonare ai campi nazisti (“Soluch come Auschwitz”, è il titolo di uno dei capitoli del suo libro “Italiani, brava gente?”; un altro capito, sul massacro di oltre 400 monaci copti fatto attuare da Graziani in Etiopia nel 1936, è intitolato “Debra Libanos: una soluzione finale”).
Già questo potrebbe bastare, se uno avesse un minimo di conoscenze, a considerare con un occhio un po’ più onesto la considerazione di Gheddafi. Basta poi una ricerchina su internet per trovare testimonianze dei reduci dei campi italiani in Libia, che confermano quanto detto da Gheddafi. Ad esempio, secondo la testimonianza di un uomo che era stato prigioniero nel campo di El Aghelia, “Dovevamo sopravvivere con un pugno di riso o di farina e spesso si era troppo stanchi per lavorare… ricordo la miseria e le botte… Le nostre donne tenevano un recipiente nella tenda per fare i bisogni… avevano paura di uscire rischiavano di essere prese dagli etiopi o dagli italiani…le esecuzioni avvenivano… al centro del campo egli italiani portavano tutta la gente a guardare. ci costringevano a guardare mentre morivano i nostri fratelli. Ogni giorno uscivano 50 cadaveri” (leggi). Esattamente quello che ha detto Gheddafi.
Descrizioni ancora più puntuali sulla riconquista fascista della Libia, ovvero sulla soppressione del movimento di resistenza dei libici contro l’occupazione, durata dal 1922 al 1932 (vedi), si possono trovare poi descrizioni ancora più precise nelle opere di Del Boca. E così si scoprono altri dettagli su questa riconquista operata da Graziani, “il Maresciallo d’Italia” soprannominato dai contemporanei “il macellaio degli arabi”. Si può leggere così di 100 mila deportati in campi di concentramento, di marce di trasferimento in cui “non furono ammessi ritardi. Chi indugiava [donne, vecchi, bambini, malati] veniva immediatamente passato per le armi”, di 40mila morti tra marce e reclusione nei campi di concentramento, in tre anni.
Gheddafi riscrive la storia, dunque? A noi non sembra. È solo che alcuni, per quanto si dimostrino umanamente commossi, non la vogliono accettare.