La “centralità” del Parlamento europeo
Il 25 maggio saremo chiamati a rinnovare il Parlamento europeo. Elezioni che, nella retorica politica mainstream, dovrebbero certificare il fatto di vivere in una comunità politica sovranazionale. Pur imperfette, le elezioni dimostrano il carattere tutto sommato democratico delle istituzioni europee, tali per l’appunto perché suffragate da continue tornate elettorali. Il Parlamento europeo è l’unica istituzione europea che viene eletta tramite il voto. Tale istituzione non ha potere di proporre leggi, decreti o politiche d’indirizzo per la Commissione europea, cioè l’organo esecutivo della UE. Il Parlamento non ha, quindi, lo stesso ruolo che riveste nei singoli contesti nazionali. Non è, cioè, un organo legislativo. Nonostante ciò, tramite l’elezione, cioè la certificazione popolare degli equilibri politici esistenti, dovrebbe avvenire la composizione della Commissione europea. Altro errore. La Commissione, unica istituzione pesante della UE (la BCE, pur essendo una istituzione UE non è vincolata politicamente alle istituzioni), capace di imporre le politiche economiche nei contesti nazionali, non viene nominata in base agli equilibri politici usciti fuori dalle elezioni. Infatti, a differenza dei contesti nazionali, non è il Parlamento che elegge un suo governo, ma questo viene nominato da una riunione dei Primi Ministri degli Stati aderenti. Il trattato di Lisbona infatti afferma che il Consiglio Europeo (cioè la riunione dei Primi Ministri) dovrà tenere conto dei risultati elettorali, ma senza che questi costituiscano un impedimento alle proprie decisioni. Il parere del Parlamento non è cioè vincolante.
Alle prossime elezioni due sono i candidati forti, e cioè gli esponenti del Partito Popolare e del Partito Socialista. I primi candidano Jean Claude Juncker, i secondi Martin Schultz. Siccome però la formazione della Commissione non dipende dalle elezioni, questa verrà formata da un accordo fra Stati. Siccome sulla figura di Martin Schultz pende il veto di Angela Merkel, l’unico candidato possibile, che sarà il prossimo presidente della UE, e che dunque formerà la Commissione e la guiderà, sarà Juncker, il candidato del PP.
Dunque, ancor prima di sapere quale sia l’esito elettorale, e qualsiasi parere potrà produrre il Parlamento europeo, questi eleggerà un governo già designato. Già oggi sappiamo chi sarà il prossimo presidente della Commissione UE, cioè dell’istituzione che ha il potere di decidere sulle politiche economiche degli Stati appartenenti alle UE. Oltretutto, il Parlamento non avrà alcun modo modificare, integrare o migliorare il lavoro della Commissione, che è in tutto e per tutto slegata da ogni rapporto di fiducia con quel Parlamento e nominata tramite accordi politici determinati dalla voce dello Stato economicamente più forte della UE.
L’inutilità di queste elezioni e degli organi che queste vanno ad eleggere è fin troppo palese. Non è il Parlamento europeo il luogo dove portare la lotta di classe. Il Parlamento europeo, così come la Commissione, sono istituzioni da abbattere, irriformabili perché essenza stessa di un potere economico che maneggia altrove le leve di comando. Chiamano Parlamento un organo che non ha niente a che vedere con i Parlamenti nazionali. Continuare a cadere nel gioco delle formalità borghesi non farà altro che alimentare le ragioni della nostra sconfitta.