La commedia umana delle elezioni comunali romane
La campagna elettorale romana: quando la politica entra nella sua fase grottesca. Sotterrata la fase tragica a cui perlomeno constava un livello di dignità oggi sconosciuto; superata da anni la deriva farsesca e comica, simboleggiata dalla giunta Alemanno, siamo oggi nella completa stravaganza post-moderna. Il centrodestra esulta per le sue primarie, autoconvocate contro i vertici del socio di maggioranza (Berlusconi) ma ignorate dai suoi soci di minoranza (Meloni e Storace), raggiungendo la vertiginosa quota di diecimila (10.000) partecipanti (lo 0,2% della popolazione romana). Partecipanti che, peraltro, secondo le profonde analisi di Salvini, hanno pure votato a cazzo di cane. Sempre secondo l’intellettuale leghista, “nessuno sfonda, (Berlusconi) convinca gli elettori e va bene Bertolaso”. Dopo settimane di insulti, oggi si scopre che la destra cittadina in realtà vorrebbe proprio Bertolaso, o qualcuno di simile. Marchini, ad esempio, un palazzinaro sempre attaccato al sottopotere romano, quello delle lobby edili, che governano Roma da prima della donazione di Costantino. In alternativa, Irene Pivetti. Si, proprio lei. A questo punto la sensazione che Salvini sia molto più intelligente dei suoi elettori è qualcosa di più di una certezza.
Ma la vertigine situazionista raggiunge il proprio acme nel centrosinistra. Dopo aver superato le 70.000 presenze alle primarie milanesi (il 5% dell’elettorato meneghino, più o meno), il centrosinistra dichiara il proprio obiettivo minimo: raggiungere i 70.000 partecipanti anche a Roma. Sono giorni che cerchiamo il refuso nella dichiarazione dei vertici del partito. Sperare di eguagliare il numero di partecipanti in una città che ha almeno il triplo degli abitanti di Milano, è un autogol politico possibile solamente nello scenario dadaista contemporaneo. Oltretutto, le scorse primarie superarono il tetto dei 100.000 votanti. E’ in ogni caso l’ennesimo segno dei tempi. Il Movimento 5 stelle, ad esempio, che fonda la propria narrazione politica e la conseguente forza elettorale sulla “partecipazione diretta dei cittadini” (qualsiasi cosa voglia dire questa frase nella testa di Grillo e Casaleggio), ha eletto la propria candidata ufficiale al Comune di Roma con 1700 voti. Che, apoteosi, hanno rappresentato il 45% dei votanti, che in totale era circa 4.000. Ma dicevamo del Pd. Il Partito democratico, esclusa la parentesi alemanniana tra il 2009 e il 2013, governa la città dal 1993. Alemanno è stato sicuramente il peggior sindaco della città dai tempi di Nerone. Eppure difficilmente può essere incolpato dei problemi strutturali della città: l’assenza di edilizia residenziale pubblica; il mercato degli affitti completamente gestito dai palazzinari; l’assenza di un trasporto urbano pubblico, accessibile e dignitoso; la disoccupazione strutturale; la frattura tra città vetrina e la sua sterminata periferia; l’abusivismo endemico; e così via. Ha peggiorato un quadro che però è stato prodotto dalle amministrazioni di centrosinistra: Rutelli, Veltroni, Marino e oggi Tronca. Ecco, un partito che avesse a che fare con il concetto di dignità, non dovrebbe neanche presentarsi a queste elezioni. Dovrebbe farsi da parte, nascondersi, provare a buttarla in caciara, dichiararsi indisponibile a governare, suicidarsi, scappare. E invece gioca alla democrazia con le primarie e chiede il voto ai cittadini con personaggi tutti inequivocabilmente legati alle precedenti amministrazioni. Marino, che era Marino, cioè un coglione, era almeno un estraneo alla politica cittadina. Poteva dire, magari anche solo opportunisticamente, che lui con lo schifo cittadino non c’entrava nulla. Ma Morassut e Giachetti, responsabili della gestione cittadina dai tempi del muro di Berlino, proprio non possono chiamarsi fuori, parlare di discontinuità, quando loro sono gli emblemi della malagestione, peraltro para-mafiosa, metropolitana. Si è fatto un gran parlare delle connivenze mafiose tra Pd e lobby criminali cittadine. Proprio ieri sul Corriere, nelle pagine della cronaca di Roma, veniva fatta luce su un’altra pagina del centrosinistra romano: “Aula bunker: una telefonata tra Michele Baldi e Luca Gramazio testimonierebbe il contributo offerto da “Marione” Corsi, amico fraterno di Carminati, alla campagna elettorale della lista civica di Zingaretti[…]Stando all’udienza di ieri, Luca Gramazio si spendeva per un incontro con Alfio Marchini e l’ex Nar “Marione” Corsi, che dai microfoni giallorossi pilotava voti sul centrosinistra”. Insomma: un consigliere di centrodestra trafficava con un ex(?) fascista, oggi capopopolo romanista, nel tentativo di veicolare le sorti politiche di un palazzinaro attraverso i voti spostati per il centrosinistra dalla radio romanista condotta da Marione. Se non è commistione di interessi questa.
In questa waterloo della dignità umana, a giugno la lotta accanita nel cercare di perdere elezioni che nessuno vuole vincere dovrà comunque nominare un nuovo sindaco. Un sindaco che almeno non dovrà far altro che applicare il programma politico di Renzi&Tronca, il Documento unico di programmazione, che stabilisce nei minimi dettagli i margini di spesa, le politiche di rientro del debito, i tagli lineari da effettuare, le dismissioni patrimoniali e i processi di privatizzazione da facilitare. Non è un film dei fratelli Coen, è Roma.