La doppia morale sull’immigrazione
Qualche giorno fa un’incauta pubblicità di Busitalia (il trasporto su gomma di Trenitalia) invitava a «portare al nord il meglio del sud». Pessima frase, che esplicitava un’idea della società ancora peggiore. L’iniziativa pubblicitaria è stata giustamente criticata un po’ da tutti, soprattutto a sinistra. “Idealizzare” lo svuotamento selettivo delle risorse umane del meridione, scherzare apertamente sulla traumatica necessità dei disoccupati del sud di trovare altrove (al nord) la propria realizzazione lavorativa, non poteva non generare un moto d’indignazione, per quanto affidato unicamente alla voce social delle nostre coscienze. La pubblicità in questione non faceva altro che certificare un pensiero diffuso della borghesia italiana (ed europea), secondo il quale le disparità sociali tra territori e popolazioni non vanno ridotte ma addirittura incentivate, rivendicate come esempio di competitività. Ed è effettivamente così: la ricchezza del “nord” (del centro) si fonda sulla depredazione delle risorse del “sud” (della periferia). Depredazione che è prima di tutto un saccheggio di risorse umane. La vera ricchezza naturale, il vero petrolio inesauribile della società, è sempre e soltanto l’uomo. Eppure tale ragionamento viene meno se i territori e le popolazioni da saccheggiare non sono più quelle del sud Italia, ma quelle del sud del mondo.
Come abbiamo visto, e come ormai accertato da diverse inchieste socio-demografiche (qui e qui alcuni veloci articoli in inglese), la gran parte dei flussi migratori verso l’Europa (ma questo vale anche per il continente americano) non è composto dalla parte più povera della popolazione, ma dal gradino superiore, una fascia compresa tra relativa povertà (rispetto al contesto originario) e classe media. Il problema non è il reddito “in sé”, quanto la differenza tra il proprio reddito e la percezione di quanto maggiore questo potrebbe essere una volta in Europa (o negli Usa). Il problema è che un fenomeno di questo tipo contribuisce da una parte ad impoverire i territori d’origine, dall’altra ad arricchire i paesi d’arrivo. Come invertire la rotta della povertà se a migrare è proprio quella parte della popolazione giovane e mediamente istruita su cui pensare una propria idea – qualsiasi essa sia – di sviluppo? D’altro lato, in Europa (e negli Usa), questa ipotetica “classe media” (definizione da prendere cum grano salis) si trasforma immediatamente in nuovo proletariato precarizzato, sfruttato sia nella condizione lavorativa che in quella esistenziale, ma in grado di sostenere i ritmi di competitività che richiede la produttività internazionale. Per farla breve, la soluzione politica al problema migratorio non può fondarsi sul continuo impoverimento di risorse umane del sud del mondo. Portare al nord il meglio del sud è allora un problema non solo quando riguarda propri connazionali, ma anche nei rapporti tra nord e sud del mondo.
Questo, ovviamente, non significa scaricare sui migranti, cioè su esseri umani, le soluzioni politiche di un fenomeno sociale che va combattuto e non incentivato. Ma significa escogitare politiche che sappiano tenere insieme tanto la solidarietà umana per chi migra quanto la lotta senza quartiere alla necessità di migrare. Tenendo sempre in considerazione due fattori: il primo è che tale necessità travalica le volontà politiche di medio periodo, visto che le motivazioni storiche sono profonde, inerenti ai processi demografici oltre che economici; il secondo è che le migrazioni non sono state inventate dal capitalismo, ma sono un fatto antico quanto l’uomo. L’idea di una società che non migra è un’idea astratta che non trova conferme nella realtà storica. Questi due fattori dovrebbero in qualche modo liquidare tutti i ragionamenti degli anti-migranti “di sinistra”. Eppure la soluzione non sarà mai il semplice ribaltamento umanitario della questione, secondo la quale a una destra che “combatte” (combatte per modo di dire: andatelo a dire all’imprenditore veneto che i migranti dovrebbero essere espulsi tutti dall’Italia) i migranti fa da contraltare una sinistra che difende le migrazioni come scelta (e non come drammatica necessità). L’ipocrisia della visione progressista viene smascherata proprio da reazioni come quella avuta per la pubblicità di Trenitalia: se il migrante è il nostro connazionale, la critica verte (giustamente!) sulla necessità di migrare; se a migrare è il nero, la critica è sulla capacità di accoglienza. Non ci sono soluzioni semplici o schematica alla questione, ma la visione “border” e quella “no-border”, in tal senso, si equivalgono: l’una reazionaria, l’altra cattolica. Ambedue inutili alla risoluzione politica del fenomeno.