La migliore offerta di Giuseppe Tornatore
Chi scrive non nutre particolare simpatia per Giuseppe Tornatore, regista troppo ancorato al facile manierismo cinematografico, capace di portare pubblico e giudizi fidati ma sempre fermo un gradino sotto al vero salto di qualità. Un regista sempre in bilico fra cinema “d’autore” e paura del botteghino, che il più delle volte ne ha frenato gli spunti creativi e relegato nei soliti canoni stilistici tentativi che invece avrebbero avuto bisogno di ben altro coraggio.
Nonostante ciò, o forse proprio grazie a questa sorta di pregiudizio “negativo”, possiamo oggi invece felicemente smentirci di fronte alla sua ultima opera, La migliore offerta, un’opera che non esitiamo a definire un grande film. Proprio per questo, sebbene siamo un collettivo politico – e soprattutto che cerca nella politicità dell’espressione artistica la suggestione decisiva – decidiamo di fare uno strappo alla regola e consigliare fortemente questa pellicola, nonostante non affronti neanche indirettamente temi politici o sociali.
L’intreccio in realtà è molto semplice. Un battitore d’aste, amante dell’arte a scapito dei rapporti personali, famoso e conosciuto in tutto il mondo per la sua bravura, accetta di valutare l’arredamento di una villa che la padrona di casa ha deciso di vendere. La padrona di casa, però, soffre di agorafobia, e questo le impedisce di vivere a contatto con la gente. Infatti Claire, questo il nome della padrona di casa, vive chiusa da diversi anni in una camera della villa senza che nessuno la possa vedere. Questa situazione paradossale inizia a scuotere il burbero e misogino battitore d’aste, Virgil Oldman, che prima per curiosità, poi per un vero e proprio interessamento sentimentale nei confronti della ragazza, inizierà un travagliato percorso per cercare di guarire la malattia della donna. Questo si scontrerà anche con l’estrema misantropia del protagonista, che infatti ha dedicato l’intera vita al mondo dell’arte a scapito dei rapporti personali, che infatti rifiuta. Oldman non solo non ha moglie, ma vive solo in una casa piena di ritratti femminili, l’unico modo che gli consente un rapporto emotivo con l’altro sesso.
Ci fermiamo qui con il racconto per non anticipare nulla. Il film, girato in lingua inglese, travalica i canoni del film italiano a favore di una veste marcatamente internazionale. Il cast, eccezionale, è di una bravura superlativa e la recitazione aggiunge un punto decisivo a tutta l’opera.
Sebbene non sia un thriller, si muove comunque lungo i binari del classico film in cerca dell’assassino, dove la suspense la fa da padrona e domina il racconto. Ma l’assassino non c’è, anche se il finale è tipico del giallo, e lo spaesamento è evidente, ed è una delle migliori caratteristiche del film. L’opera è infatti un lungo parallelo amoroso fra i rapporti fra i due sessi da una parte e il rapporto fra l’uomo e l’arte dall’altra. Un rapporto particolare, morboso e appagante, di chi ha sacrificato una vita per l’arte e da questa è ricambiato. L’abilità di narrare efficacemente questo rapporto simbiotico fra uomo e l’oggetto del suo desiderio è qui notevole e convince. Quale dei due rapporti non tradirà alla fine il protagonista, lo capirete solo alla fine del film. Scoprendo, forse, che in realtà non di due ma di un unico rapporto si tratta, e cioè quello di un uomo con se stesso e le sue debolezze.
Quello che però qui ci interessa sottolineare è la capacità di Tornatore nel girare un film teso e avvincente come un giallo ma che in realtà è una riflessione sull’amore, nelle sue varie forme. Anche una sua certa retoricità stavolta è permessa, nonché il finale a un certo punto ampiamente prevedibile sebbene di grande effetto. Infatti il regista è capace stavolta di una poetica efficace, soprattutto nel descrivere l’esaltazione del rapporto fra l’essere umano, le sue emozioni e la sua volubilità.
Il film non esce fuori dagli steccati di genere (la storia dell’uomo burbero e scostante intrigato dalla ragazza difficile e affascinante in fondo è vecchia come il cinema), e sin da subito si ha chiara la sensazione della sorpresa che infatti puntualmente è dietro l’angolo (la vera sorpresa sarebbe stata non avere sorprese in questo senso). Anche i rapporti personali del protagonista sono quasi subito improntati in vista della fine della storia, e questo è sicuramente un lato negativo, sebbene questa volta ampiamente perdonabile da un finale che, nonostante tutto, riamane coinvolgente ed emozionante.
Insomma, in questi anni il cinema italiano ha saputo produrre grandi e importanti novità cinematografiche, purtroppo oscurate dal mare di merda nel quale naviga il resto della nostra produzione. Fra Matteo Garrone e Sorrentino, Tornatore riesce a riemergere con questa grande narrazione. Non un capolavoro e neanche un film sperimentale o innovativo, ma una splendida messa in scena confezionata con tutti i crismi, e che per una volta riuscirà a soddisfare, crediamo, sia il pubblico che la critica, sintesi in genere capace solo ai grandi del cinema.