La sinistra della destra

La sinistra della destra

 

Per capire il livello del dibattito “a sinistra” nel nostro paese basta la notizia dell’«effetto Bonino»: «La novità che può sparigliare l’offerta elettorale a sinistra», titola La Stampa. Nell’infornata civica il peggio del paese: Calenda, Prodi, Letta, Pisapia, eccetera. Il problema è che questa è la “sinistra” percepita nel paese, quella “a sinistra” del Pd, presentata come “battagliera”. Viviamo da molti anni uno scarto incolmabile tra la sinistra percepita (cioè la classe dirigente neoliberale del paese) e l’idea di sinistra per come si è andata formando nei due secoli precedenti. E mentre altrove la storia torna a misurarsi in giorni che valgono anni, in Italia il dibattito insiste sul leader mancato, sullo scontro tra Pisapia e D’Alema, sul ruolo di Mdp, su Montanari e Fassina e via degradando. Sfumature politiche definitivamente scollegate da qualsiasi realtà sociale. Il rapporto tra “sinistra” e paese reale assume d’altronde i contorni dell’incubo poliziesco. Proprio il Pd chiedeva ieri, in un’interrogazione parlamentare, come mai il ministro “di destra” Minniti non abbia mandato la polizia al picchetto dei lavoratori della logistica ai magazzini Sda. Si chiedevano stupiti, due parlamentari democratici (certo uno era Stefano Esposito, quindi non fa testo), perché dei lavoratori potessero manifestare davanti al proprio posto di lavoro senza essere arrestati.

Questo il rapporto tra “sinistra” e società, un rapporto che persino Ezio Mauro individua come «senza storia», lasciando il campo al rafforzamento della reazione: «Il risultato è il prosperare della destra, vecchia e nuova che lavora sugli individui più che sui cittadini, sugli stati d’animo piuttosto che sulla loro traduzione politica. Nelle forme salviniane scoperte, nella copertura mimetica grillina, nel finto moderatismo berlusconiano, cavalca le solitudini e le marginalità, ma più ancora la rabbia degli individui, non offre politica e governo, ma propone riconoscimento, legittima il risentimento, e lo indirizza verso i nuovi fantasmi sociali che è capace di creare, o almeno di ingigantire». Nel campo delle destre fa ampiamente parte il Pd e le sue propaggini sinistre, ma ciò nonostante l’editorialista di Repubblica riconosce un frame, una cornice di senso con cui fare inevitabilmente i conti: quella “destra”, che in realtà è la forma assunta dal populismo dei nostri tempi, propone un riconoscimento. Quel vastissimo magma sociale subalterno composto di nuovi schiavi, di precari disillusi, di migranti abbandonati, di disoccupati cronici, ha bisogno di riconoscersi, di ritrovare modalità e discorsi per legittimarsi pubblicamente. Con buona pace di Mauro, questa è politica, non altro. Possono non piacere le forme che questa assume, possiamo rilevarne l’inefficacia amministrativa o strategica, rimane il fatto che se la sinistra è il risultato del confronto tra Renzi e Pisapia, Bersani e D’Alema, Fassina e Montanari, la destra o il “populismo” avranno ancora lunga vita.