l’a-sinistra e i lavoratori
Ieri, mentre scrivevamo il post sul tavolo di trattativa tra Fiat, governo e sindacati, non abbiamo fatto in tempo a registrare alcune “brillanti” dichiarazioni rilasciate dall’ineffabile D’Alema. Durante un dibattito della Festa dei Giovani Democratici il buon Massimo è arrivato a dire che quello che è successo a Pomigliano è il frutto di molti errori fatti negli anni e per questo Marchionne ha avuto il coltello dalla parte del manico, e tra gli errori c’è anche quello dell’assenteismo forse troppo tollerato e che chiama in causa gli stessi sindacati. Poi preso da reminescenze giovanili ha ricordato quando andava a volantinare davanti alla Piaggio di Pontedera sostenendo che là c’erano operai veri, non quelli che si danno malati quando c’è una partita di calcio. Ora sentire accusare di assenteismo gli operai di Pomigliano che da mesi stanno in cassintegrazione, e per di più da uno che non ha mai lavorato in vita sua, fa già venire ribrezzo di suo. Ma lo fa forse un po’ di più sentirsi riproporre come un mantra la favoletta della bassa produttività italiana e la scarsa competitività che l’assenteismo comporterebbe. Come se poi fosse questo il problema del settore auto e non la saturazione oltre ogni limite del mercato. In un articolo sulla Repubblica di qualche settimana fa Luciano Gallino riportava alcuni dati da cui si evinceva chiaramente che, al momento, la capacità produttiva complessiva dell’industria automobilistica supera di oltre il 40% le capacità di assorbimento delle merci prodotte da parte del cosiddetto mercato. Tradotto in parole povere significa che ogni persona che sul pianeta è nelle condizioni economiche di poter acquistare e mantenere un auto, già ne possiede una o più di una ed è dunque sempre meno disposta a comprarne un’altra. Da quì il calo sistematico delle immatricolazioni e la chiusura degli stabilimenti. E gli incentivi, le rottamazioni, non sono altro che pannicelli caldi che al massimo rallentano la tendenza, ma non la invertono. Il paradosso irrisolvibile del modo di produzione capitalistico, quello che borghesi, sindacalisti gialli e politicanti vari sembrano non capire o fanno finta di non riuscirci, è che le fabbriche chiudono perchè gli operai lavorano e producono troppo, e non perchè passano il tempo a guardarsi le partite del mondiale. Altro che sacrifici, altro che rimboccarsi le maniche, a rischi di apparire noiosi lo ripetiamo ancora una volta: lavorare meno per lavorare tutti. C”è un altro aspetto però che ci sembra emergere con prepotenza da questa vicenda, e che qui abbozziamo solamente, ossia che il ciclo dell’auto, quello che ha dominato il novecento rivoluzionando le forme di produzione, (introducendo il taylorismo e la catena di montaggio tanto per fare l’esempio più banale) è ormai al tramonto e ancora non è dato sapere quale sarà il ciclo produttivo che lo sostituirà, semmai ce ne sarà uno dominante. Comprenderlo sarà essenziale per riuscire a capire quali forme di lotta e d’organizzazione dovremo iniziare a immaginare, sperimentare, praticare.