La sinistra immaginaria e la realtà sociale
Un interessante sondaggio sulla composizione sociale degli elettori italiani (Corriere della Sera di sabato 27 gennaio) certifica il gran canyon che separa la realtà dai desiderata della sinistra. Secondo tale rilevazione (che, ricordiamo, non fa altro che comprovare una dinamica in corso da diversi anni) l’ex bacino elettorale storicamente comunista – operai, impiegati pubblici, insegnanti – vota in massima parte (con punte del 40%) il M5S. Al contrario, il sezionamento delle intenzioni di voto per classi sociali e posizioni professionali svela la tara di classe della “sinistra”: per Pd, ma soprattutto per Liberi e Uguali, votano principalmente pensionati, studenti, imprenditori e dirigenti aziendali. Il voto per i partiti populisti, e in massima parte per il M5S, ricorda da vicino i settori Wasp che hanno garantito l’elezione presidenziale di Donald Trump, ma anche in qualche modo la vicenda del referendum inglese sulla Brexit: una (ex) classe operaia bianca e impoverita che vota per chi promette, a parole, una difesa del proprio tenore di reddito. Non è detto che sia sicuramente così, di certo però la tendenza secondo la quale la sinistra – sia essa “moderata” che presuntamente “radicale” – non riesce più a intercettare il voto di classe la dice lunga sulla percezione di questa nella società. La sinistra è sinonimo di capitalismo globalizzato, e chiunque sia rimasto impoverito dalla crisi vota altro, non tanto “a destra”, ma per chi promette un ritorno alla sovranità politica in grado di operare controlli nazionali sui capitali transnazionali. Che, sia detto per inciso, non è una politica “di destra”, ma progressiva (è progressivo cioè il controllo politico sui capitali privati), sebbene dalle forze populiste articolata in forma decisamente reazionaria, cioè nazionalista (nel caso della Lega) o regressiva (nel caso del M5S). Il problema è che la sinistra, tutta quanta, in questi anni ha descritto come reazionarie le forme di controllo politico sulla propensione internazionale dei capitali, favorendo culturalmente il processo liberista di completa snazionalizzazione (e quindi spoliticizzazione) dei capitali privati, che infatti, slegati da qualsiasi forzata territorializzazione, hanno cominciato a muoversi liberi sopra le nostre teste (e le nostre vite). E’ all’interno di questo cortocircuito che si spiega l’azzeramento elettorale delle sinistre, che viaggiano, tutte insieme e insieme alle destre estreme e al resto del circo elettorale di complemento, sull’1,6%. La sinistra, in questa fase storica, ha la necessità di mimetizzarsi per scampare all’abbraccio mortale di un concetto di sinistra ritagliato ad immagine e somiglianza dei banchieri di Davos che fischiano Trump. Non sono tanto le elezioni a dircelo, ma il voto (e il non voto) di classe. Che infatti, siccome non corrisponde più ai nostri desiderata, viene banalizzato (“è voto Wasp” ci dicono, come se la classe operaia degli anni Sessanta-Settanta non avesse, in nuce, gli stessi ambivalenti rischi economicistici, nascosti dalla mediazione politica comunista, ma non per questo risolti, come vediamo oggi). Aveva ragione Brecht: per la sinistra c’è urgenza di nominare un nuovo popolo, più corrispondente alla propria giusta linea politica.