La storia negata: il revisionismo e il suo uso politico
Consigliamo vivamente a chiunque questa raccolta di saggi sul presunto “revisionismo storico”, raccolta che comprende i contributi di alcuni fra i maggiori e autorevoli storici italiani. Revisionismo presunto perché, come si evince dalla lettura del testo, quello in corso in questo ventennio è un uso politico della storia, un revisionismo politico che nulla ha a che fare con i più semplici canoni della ricerca storica, con il vero revisionismo storico scientifico.
Attraverso la lettura di questi saggi, che toccano gli argomenti più rovistati in questi anni, scopriamo chi sono e come hanno indagato questi presunti revisionisti, a cominciare da Montanelli e De Felice, per finire alla farsa dei vari Pansa e Vespa, per citare solamente coloro i quali, attraverso le vergognose operazioni politiche di demolizione del nostro retroterra culturale e della nostra memoria storica, hanno operato come i più classici servi di regime, o meglio come gli apripista, gli sdoganatori politici di memorie altrimenti inesistenti o condannate dalla storia. Dalla rivalutazione del fascismo all’attacco alla resistenza, dalle leggende delle foibe al ruolo del PCI, l’obiettivo è sempre lo stesso, e cioè l’attacco e la rimozione dei movimenti comunisti e rivoluzionari dalla storia, per la creazione ideologica e falsa di una nuova coscienza che serva agli attori politici odierni per legittimarsi all’interno del contesto politico attuale.
Non proseguiamo oltre con la presentazione, ma riportiamo integralmente l’introduzione presente sulla seconda di copertina, utile per spigare e sintetizzare i motivi che hanno portato alla pubblicazione di questa raccolta.
“Sottoporre a revisione la storia è il compito stesso degli studiosi, essendo la storiografia nient’altro che una costante riscrittura della storia. Perché, dunque, degli storici come gli autori di questo libro dovrebbero schierarsi contro il “revisionismo”? Perché sotto questo termine si è delineato, nel corso degli ultimi decenni in Italia e nel mondo, un “uso politico della storia” che poco ha a che fare con la ricerca storiografica. Un “uso politico” dalla molteplici diramazioni, ma che, soprattutto nella distorta ricostruzione della nostra storia nazionale, presenta alcune opinioni ossessivamente ripetute: l’idea che il risorgimento sia stata una guerra di annessione e non un movimento di rinascita per l’unità nazionale; la concezione del fascismo come tentativo autoritario bonario, distinto dal totalitarismo nazista e volto all’edificazione di una patria che non sarebbe esistita prima; l’ipotesi della morte definitiva della patria sancita dall’8 settembre e la conseguente rivalutazione dei combattenti di Salò come autentici patrioti; la Resistenza trattata come una guerra scatenata da bande al servizio dell’Unione Sovietica; l’affermazione, anti-risorgimentale per eccellenza, che l’unico vero collante del nostro paese sia il cattolicesimo; la conseguente considerazione positiva delle ingerenza della chiesa nella vita politica e civile a partire dal 1861 fino ai nostri giorni. Tesi politiche che non hanno la benché minima serietà né il rigore dell’autentica indagine storica, ma che, raffigurando gli avversari come i difensori di una “vulgata resistenziale”, di “verità di regime”, mirano a distruggere i fondamenti stessi della nostra storia repubblicana e della nostra costituzione. Contro questo “revisionismo”, i suoi sconfinamenti nella storia d’Europa (la questione balcanica, innanzi tutto, ma anche le imprese coloniali), la sua deriva (la Shoa e il negazionismo), si schierano finalmente in questo libro alcuni tra i migliori storici italiani. Dal risorgimento al dopoguerra, tutte le questioni storiche su cui il revisionismo esercita da tempo la sua opera di stravolgimento della verità vengono passate in rassegna (il brigantaggio, il colonialismo italiano, il ventennio fascista, la resistenza, le foibe) con il rigore dei più recenti studi storici e l’orgoglio della difesa delle pagine migliori della nostra storia nazionale, in primo luogo il Risorgimento e la Resistenza.”
Insomma, non di revisionismo storico si tratta, ma un revisionismo politico che si serve della storia per creare una sovrastruttura culturale che possa servire all’occorrenza ai vari attori politici del momento. In senso gramsciano, la creazione di una egemonia culturale, che riscriva la storia ad uso e consumo del presente e del contingente, fregandosene volontariamente della verità.
Buona lettura…