La visione strategica del premier Renzi
Renzi e il suo governo potrebbero essere l’ennesimo tentativo delle classi dirigenti internazionali di adeguare l’Italia al contesto economico europeo; oppure, l’ennesimo tentativo del PD di dotarsi di una politica sempre più liberista per tranquillizzare i settori politico-economici che muovono le fila del sistema produttivo del paese, accreditandosi quale migliore rappresentante di quegli interessi; o forse né l’una né l’altra cosa, ma semplicemente il tentativo autonomo di una borghesia in crisi politica che cerca l’ennesimo salvatore della baracca in versione mediaticamente appetibile. Queste differenti visioni sono tutte accomunate dall’intrinseca sottovalutazione del progetto renziano. Noi crediamo che Renzi e il suo governo, e ovviamente il PD – che sta lentamente definendo la propria visione strategica – siano uno scarto decisivo per la politica italiana, e non solo. L’ennesima dimostrazione di questa “alterità” si è avuta al vertice NATO in Galles.
Di fronte alla sempre più evidente mancanza di strategia statunitense, nonché della persistente crisi interna all’alleanza atlantica, Renzi ha avuto la capacità di proporre uno scatto in avanti rilevante e apparentemente inaspettato, garantendo alla UE il ruolo di protagonista dei destini dell’alleanza. Da una parte ha rilanciato la formazione di una politica di difesa comune della UE, favorendo un percorso che possa portare alla nascita non solo di un vero esercito europeo, ma alla centralizzazione delle politiche militari dei paesi aderenti all’Unione Europea. Dall’altra, ha appoggiato l’omogeneizzazione delle spese militari. Oggi queste sono al di sotto del 2% del PIL in quasi tutti i paesi (tranne la Francia e la Grecia), e la proposta renziana punta ad obbligare tutti gli stati membri a una crescita degli investimenti militari fino al raggiungimento del 2% rispetto al prodotto interno lordo di ciascun paese.
In tempi di crisi economica e di difficoltà sociali in tutti i paesi e soprattutto in Italia, solo un pazzo poteva condividere la proposta NATO di un riarmo sostanzioso dei paesi UE. Un pazzo, oppure un politico lungimirante (per il capitale s’intende). Noi propendiamo per la seconda ipotesi. Renzi infatti ha chiaro lo scenario politico internazionale nel quale si situa la costruzione dell’Unione Europea. O meglio, ha chiaro che la costruzione della UE passa attraverso la propria intraprendenza internazionale. E ha capito che questa manca di un certo protagonismo politico nei vari contesti dove si stanno decidendo le sorti delle risorse produttive dei prossimi decenni. La politica di grande potenza della UE non può darsi senza una sua rilevanza anche militare, senza una coerente propensione all’intervento e all’ingerenza. Tutte cose ovvie e già presenti a livello dei singoli stati, ma che faticano a darsi strutturalmente a livello generale e condiviso. Ogni paese determina la propria politica estera in base ai propri interessi, e questo fatto cozza con il rafforzamento di una UE obbligata ad interessarsi ai conflitti che s’impongono ai propri confini.
La proposta renziana si compone poi di un corollario a suo modo geniale. L’aumento delle spese militari dovrebbe avvenire a scomputo del calcolo del deficit pubblico, cioè non dovrebbe incidere sul fatidico parametro del 3% entro cui tenere il deficit annuale dei vari stati membri. Solamente un politico con una chiara visione strategica in mente poteva uscire dal cul de sac in cui l’avrebbe portato un aumento del debito dovuto all’investimento pubblico in spese militari. Cogliendo due piccioni con una fava, il rafforzamento militare non solo consente alla UE di definire una sua strategia efficacemente imperialista, ma riesce anche a dotarsi di uno strumento mascherato di intervento pubblico nell’economia volto a stimolare la domanda interna. Né più né meno quel “keynesismo militare” con cui gli Stati Uniti da decenni mantengono in vita la domanda interna, stimolando il mercato con continui investimenti pubblici. L’investimento pubblico in un settore economico strategico e ad alta concentrazione di capitale variabile consente lo stimolo della domanda attraverso la spesa pubblica, ma allo stesso tempo supera i paletti liberisti della UE perché mascherato da supreme necessità di sicurezza collettiva e tolto dal conteggio del deficit. L’uovo di colombo insomma. Il fatto che questo sia stato pensato da Renzi e non da altri dovrebbe farci riflettere sulla caratura, nonché la sostanziale differenza, tra Renzi e i suoi predecessori. A differenza dei suoi epigoni ed ex ministri, Renzi ha una visione strategica, e sta lottando per affermarla.