Lavorare in pochi, lavorare di più… la ricetta europea per la nuova schiavitù
Il padronato europeo sembrerebbe seriamente determinato a ribaltare una delle parole d’ordine più felici del movimento operaio, quel “lavorare meno, lavorare tutti” che ancora oggi potrebbe essere una delle vertenze su cui mobilitare milioni di proletari (se solo in certa sinistra si superassero le fascinazioni per le strampalate teorie sulla fine del lavoro). Nel mese di ottobre verrà discussa dall’Unione Europea una proposta di direttiva comunitaria per estendere l’orario di lavoro fino a ben 60-65 ore settimanali. Tale direttiva dovrebbe poi essere sottoposta al voto dell’europarlamento nel mese di dicembre. I tecnocrati di Bruxelles fingono di non capire che la crisi in cui si dibatte l’economia mondiale è una crisi da sovrapproduzione, ovvero si producono più merci di quanto il mercato (per quanto drogato dal credito al consumo) possa assorbirne. Se a questo aggiungiamo la ricerca spasmodica dell’abbattimento del costo del lavoro (esternalizzazioni, delocalizzazioni, precarietà diffusa, ecc. ecc.) ecco spiegata la “recessione alle porte” paventata dai media occidentali. E’ la logica stringente della causa/effetto: se mi dai un salario da fame, con il quale a mala pena arrivo a fine mese, come pretendi poi che possa acquistare le tue merci; se lavoro un mese si e uno no, se non ho un contratto degno di tal nome, come pretendi poi che possa far fronte a eventuali debiti contratti per comprarmi una casa o qualsiasi altro bene di consumo. La soluzione alla crisi, esposta qui in maniera rozza, l’aveva proposta un vecchietto di Treviri con la barba bianca: lavorare di meno, lavorare tutti, produrre il necessario e distribuirlo equamente. Il problema, però, è che per far questo servirebbe una sinistra degna di tal nome ma visto lo stato delle cose qui più che di un teorico servirebbe un medium… sinistra,se ci sei, batti un colpo.