Le Belve di Don Winslow
Vaffanculo!
Ormai è facile andare in giro a raccontare di come Don Winslow abbia cambiato un certo tipo di letteratura e di come rappresenti la novità narrativa americana di questi ultimi dieci anni. Per quanto ci riguarda, lo andiamo dicendo almeno dalla folgorazione del Potere del cane, forse il romanzo più importante di questi anni dieci. Ed è con questo stesso spirito che abbiamo atteso trepidanti l’ultima sua fatica letteraria, Le Belve.
Sebbene dopo il Potere del cane (o meglio, sia prima che dopo, visto che la pessima gestione editoriale del fenomeno Winslow ha fatto uscire in Italia i libri in una sequenza che non era la stessa della composizione delle opere, facendoci perdere il filo narrativo e l’evoluzione dello scrittore) Winslow abbia sfornato altri romanzi tutti d’alto livello, l’interesse e l’attesa per un certo “ritorno alle origini”, previsto in questo romanzo, era spasmodica. Torna Winslow, torna a raccontarci di quel territorio a sé che sono i territori di confine fra Messico e Stati Uniti, torna la droga come elemento chiave del romanzo. Insomma, gli ingredienti giusti per un nuovo capolavoro c’erano tutti, e infatti lo abbiamo subito comprato “in massa” appena uscito nelle librerie.
“Lo sbaglio è di Ben, e ha radici lontane. Lui ha sempre creduto di poter vivere con un piede in due mondi. Una Birkenstock nel sottobosco del traffico di marijuana, l’altra nel mondo della civiltà e della legge.
Ora sa che non può.
Ha tutti e due i piedi intrappolati nella giungla.
Chon non ha mai coltivato questa illusione.
Lui ha sempre saputo che ci sono due mondi:
Quello selvaggio.
Quello meno selvaggio.
Il primo è il mondo del potere duro e puro, della sopravvivenza del più forte. Cartelli della droga e squadroni della morte, dittatori e tiranni, attacchi terroristici, guerre tra bande, odi tribali, stragi e stupri di massa.
Il secondo è il mondo del potere civilizzato. Governi ed eserciti, multinazionali e banche, compagnie petrolifere, paura e shock, morte dal cielo, genocidi e stupri economici di massa.
E Chon sa
Che in realtà i due mondi sono uno.”
Una delle fondamentali funzioni storiche e culturali del romanzo è di spiegare al lettore, attraverso esemplificazioni narrative e suggestioni mentali, i concetti difficili del nostro tempo. Chiarire ciò che è oscuro, mostrare ciò che non viene mostrato. In Winslow questa qualità raggiunge il massimo livello. Solo Winsolw, infatti, in questi anni ha avuto la capacità di spiegarci e raccontarci in maniera brutale e diretta quel mondo a sé rappresentato dalla lotta alla droga del governo americano. Solo Winsolw, attraverso i suoi personaggi e le sue storie, è riuscito a farci comprendere veramente tutti i collegamenti fra cartelli narcotrafficanti e il dipartimento anti-droga statunitense, ma soprattutto ci ha fatto capire quale sia il significato storico dell’apparente lotta alla droga degli Stati Uniti. Il cavallo di Troia, cioè, con cui il governo americano entra nelle politiche degli altri paesi, con cui combatte le guerre sporche contro le lotte popolari, lo strumento attraverso il quale determina(va) le politiche dell’America Latina, corrompeva la politica di quegli stati. Di come, in realtà, quei due mondi apparentemente opposti dei narcos e della legalità erano in realtà lo stesso mondo, le due facce di una stessa medaglia.
Gli Stati Uniti con una mano incentivano la produzione (fuori) e il consumo di droga (all’interno), e dall’altra fanno finta di combattere i cartelli della droga con campagne terroristiche nei paesi “produttori”. Con una pluralità di scopi, che possono sintetizzarsi tutti con l’obiettivo di esercitare un controllo di fatto dei territori che non possono più controllare direttamente a seguito del processo di decolonizzazione e della fine della dottrina Monroe.
Tutto questo è narrato pregevolmente anche nel romanzo in questione. Le Belve racconta la storia di due giovani coltivatori di marijuana, che riescono a crearsi un discreto mercato nella California del sud ma soprattutto a inventarsi una super qualità di marijuana che va letteralmente a ruba. Contestualmente, la volontà d’espansione dei cartelli della Baja porta quest’ultimi a volersi accaparrare il mercato californiano, anche alle spese dei tre ragazzi. Si passa dalle offerte alle minacce, al sequestro della loro amica – e amante comune – O. che segnerà il punto di non ritorno e che darà il via all’escalation di violenza che porterà tutti i protagonisti verso il proprio destino annunciato. Ben e Chon sono amici per la pelle: un genio delle economie di scala e un prodigio di forza fisica e addestramento militare, ex militare e contractor in Iraq. Diversi, complementari, accumunati dalla stessa filosofia – vivi e lascia vivere – condividono tutto, inclusa Ophelia, la ragazza dei loro sogni. In California hanno creato un piccolo regno coltivando e smerciando un prodotto speciale: la miglior marijuana degli Stati Uniti. Ora, però, la loro remunerativa attività è finita nel mirino dei cartelli messicani. A Ben e Chon non restano che due alternative: incassare i dividendi e ritirarsi in buon ordine o accettare la sfida in campo aperto e prepararsi a una battaglia senza esclusione di colpi, nel quale a essere in gioco non sarà solamente la loro impresa commerciale, ma la loro stessa vita.
La storia ci mostra ciò che l’informazione “ufficiale” ci nasconde e che la controinformazione non riesce a rendere patrimonio accessibile: la corruzione di polizia e FBI, il legame fra i cartelli messicani e il governo USA, la violenza e l’organizzazione capillare dei cartelli dei narcos, l’organizzazione e la violenza del sistema statunitense che, come abbiamo detto, da una parte incentiva lo status quo e dall’altra fa credere di volerlo combattere. Verità forse evidenti per qualche studioso della materia, ma raccontate con quella dovizia di particolari che solo il grande romanzo d’inchiesta riesce a trasmettere senza annoiare, senza risultare pedante, ma anzi coinvolgendoci su piani diversi e intersecanti (senza essere romanzo d’inchiesta, è questa la forza incontrollata di questo romanzo). Saltando, in ogni capitolo, dalla denuncia sociale e culturale di un sistema marcio fin dentro le viscere, alle avventure dei protagonisti.
Un romanzo sicuramente meno “politico” del Potere del cane, ma che ne ricalca le orme e ne è la degna eredità. E che forse ne rappresenta un’evoluzione positiva dal punto di vista dello stile. Se dunque dal punto di vista dei contenuti sociali c’è meno “politica” e meno denuncia, notiamo un ulteriore passo in avanti dal punto di vista narrativo. Quasi cinquecento pagine che si leggono in una sola volata, l’alternanza di capitoli lunghi e capitoli brevi, momenti di racconto e di descrizione a dialoghi serrati e veloci. Insomma, un mix narrativo che tiene incollati dalla prima all’ultima pagina e che fa letteralmente divorare il libro.
Questo è l’unico difetto dei libri di Don Winslow: durano sempre troppo poco.
Le Belve, edizioni Einaudi Stile Libero Big, pp. 451, euro 19,50.