Le cooperanti democratiche e l’eterno presente della sinistra
Che Greta&Vanessa stessero in Siria dalla parte sbagliata, aiutando concretamente la testa di ponte imperialista tramite la rivolta anti-Assad, era un fatto difficilmente controvertibile. In effetti, a forza di essere smascherate, la serie di rivolte indotte dall’occidente nei contesti ancora non adeguati all’egemonia politica euro-statunitense non dovrebbe più fare presa su nessuno, almeno nella sinistra di classe. Purtroppo non è così, e l’eterno presente in cui vengono incastonati gli eventi globali, l’assenza di una dimensione antimperialista in cui riferirli, impedisce di cogliere in questi eventi quel portato di esperienza che dovrebbe aiutarci ad interpretare la prossima rivolta indotta e controllata dal capitalismo liberista. Saremmo facili profeti scommettendo nell’immediato innamoramento della gauche caviar nostrana alla prossima “primavera” in qualche angolo riottoso del mondo. Qualche studente in Venezuela; qualche donna senza velo in Iran; magari qualche damas de blanco di troppo a Cuba, ed ecco i titoloni dei giornali, i post su facebook, l’assalto dei re-tweet, quel magico fronte comune tra liberismo e sinistra nella richiesta di più diritti e più democrazia liberale per tutti. Non ci hanno insegnato niente le “rivoluzioni arancioni” dell’est Europa promosse dalla CIA; la “rivoluzione verde” controllata dagli Stati Uniti in Iran; le tribù finanziate da Londra e Parigi in Libia; il golpe venezuelano attraverso le mobilitazioni universitarie guidate da Soros; il ruolo di Otpor nelle guerre balcaniche nella distruzione della Jugoslavia; la formazione dell’ISIS in Siria nei quattro anni di guerra civile contro Assad; il golpe euro-statunitense in Ucraina con il decisivo contributo delle formazioni naziste locali; la formazione dei talebani in Afghanistan ancora tramite la CIA; il bombardamento dell’Iraq del “male assoluto” Saddam; il ruolo delle multinazionali euro-statunitensi petrolifere in Nigeria nella formazione del MEND e, come degenerazione islamica, di Boko Haram; il dissolvimento della Somalia negli anni Novanta promosso dall’esercito statunitense; l’allargamento a est della Nato diretto contro la Russia; il ruolo (indotto dalla stessa Nato) della Cecenia nella formazione dei combattenti islamici anti russi; e molti eccetera. Ogni vicenda della storia internazionale vive (da noi, in Europa, e specificatamente dopo l’89) il tragico destino di essere scollegata da un contesto imperialista che la determina. Finita la guerra fredda è finito anche il concetto di imperialismo: ognuno per sé e Dio per tutti.
Troppo facile oggi, dopo la strage di Parigi, dopo l’escalation mediatico-militare dell’ISIS, dopo l’innamoramento per Kobane, ridere delle cooperanti filo-islamiche liberate coi soldi “degli italiani”, porsi come chi “l’aveva sempre saputo”, o peggio ancora rincorrere Salvini nella polemica sui soldi versati che andranno a finanziare la politica terrorista del califfato islamico e dei suoi epigoni nel mondo. E’ facile perché la nostra solita ignavia politica ci illumina quando la guerra giunge alla porta di casa, in Europa, mentre quando quelle stesse politiche incendiavano il Medioriente, producendo terrore e morte lontano da noi, eravamo i primi a fomentare idealmente quelle rivolte contro i nemici del sistema egemonico euro-statunitense. Giustificando il tutto attraverso il diritto delle popolazioni locali di “autodeterminarsi politicamente”, senza considerare che nessuna “popolazione locale” si stava “autodeterminando”, senza considerare *la direzione* in cui avveniva questa determinazione indotta dall’esterno, senza considerare cosa facesse non “la popolazione”, ma la classe lavoratrice del tale paese. C’è arrivato anche l’Huffington Post, per dire quanto oggi sia facile assumere la posizione di chi dubita della sincerità delle ragazze liberate, così come del ruolo delle ONG nei territori da adeguare alla produzione liberista. Oggi più di altri giorni, un bel tacer non fu mai scritto.