Le insegne luminose attirano gli allocchi…
E’ veramente deprimente dover ogni volta ammettere di rimanere stupefatti dall’incredibile capacità della borghesia internazionale di trovare il modo di intervenire nella politica degli stati da normalizzare. Anche questa volta, il multiforme ingegno del capitale imperialista ha trovato l’esca a cui far abboccare tutti i soliti noti del carrozzone dei difensori dei diritti umani (ONG varie, associazioni umanitarie, partiti “di sinistra”, sindacati, intellettuali radical, ecc..). Questa volta si sono inventati il presunto gruppo musicale punk femminista situazionista colpito dalla repressione del regime putiniano. Giù il cappello di fronte alla genialità.
La vicenda delle fighe riottose può essere analizzata sotto due piani distinti: la vicenda in se, da una parte, e dall’altra come la vicenda viene narrata dai media occidentali. Partiamo dal primo punto. Le pussy riot sono un gruppo (si definiscono collettivo, ma lasciamo perdere) politico anarco-situazionista, e non un gruppo musicale. Nelle loro “performance” ogni tanto suonano pure, ma non è quella la loro attività principale. Dopo aver messo in piedi alcune sceneggiate demenziali a sfondo pornografico, come infilarsi dei polli surgelati nella vagina in un supermercato di fronte agli allibiti clienti, oppure aver organizzato una mega orgia di gruppo in un museo, sono arrivate a mettere in piedi una sorta di rappresentazione musicale punk all’interno della principale chiesa russa, e cioè la cattedrale di Mosca. Queste solo le azioni principali, per non dire di tutte le altre pagliacciate, sempre a sfondo sessuale, praticate negli anni. Fossero state in un normale paese occidentale (l’Italia, ad esempio), sarebbero già scontando diversi anni di galera (pensate per un attimo ad un irruzione violenta a San Pietro con passamontagna in testa gridando cose oscene, come minimo gli davano terrorismo). Fossero state in qualche paese occidentale non troppo avvezzo alle usuali norme democratiche (gli USA, ad esempio) forse gli avrebbero sparato prima di entrarci, in chiesa. In Russia, invece, sono finite sotto processo e sono state condannate a due anni di lavori socialmente utili. Insomma, non stiamo certo difendendo la democraticità della Russia di Putin, ma tutto sommato non riusciamo a vedere dove sia la notizia. Poi possiamo anche dire tutto ciò che ci pare contro la chiesa, la religione e il regime politico anti-democratico di Putin, e avremmo ragione, ma quello che è successo sarebbe accaduto, probabilmente con maggiore incisività, in qualunque altro paese del mondo. E qui veniamo a come questa vicenda viene raccontata dalla comunicazione occidentale.
Secondo tutti i media occidentali, le pussy riot sono vittime di un regime repressivo che addirittura condanna delle giovani ragazze solo perché fanno musica punk. A spiegarci la vicenda è il noto filantropo e progressista Mickhail Khodorkovsky, che a colpi di un’intervista al giorno sui giornali di tutta Europa ci spiega quanto è dura la repressione russa. L’oligarca (quello che nel giro di una notte, grazie all’amicizia con Eltsin, comprò le compagnie petrolifere sovietiche moltiplicando il prezzo del petrolio e non pagando un centesimo di tasse, finito in prigione per nove anni, altro caso di chiara antidemocraticità del regime russo-zarista-putiniano) ci spiega infatti che in Russia non c’è libertà d’espressione, e che la vicenda delle fighe riottose è uguale alla sua, in carcere ovviamente per le sue idee (e non perché deve miliardi di dollari alle casse dello stato).
Lentamente iniziano a venire fuori i contorni oscuri della vicenda. Scopriamo infatti come le pussy riot siano legate a Femen, l’associazione “femminista” legata a Otpor, la nota associazione creata dal miliardario Soros per intervenire nelle politiche dei paesi non allineati, promuovendo proteste che puntano a creare le condizioni politiche per l’intervento “umanitario” e il regime change. Una volta inteso di cosa stiamo parlando, tutto risulta più semplice, soprattutto tutto rientra nello schema creato ad arte da un ventennio abbondante: presunti movimenti per i diritti civili incorrono nella repressione del paese di turno; i media locali controllati dai capitalisti occidentali pompano la notizia; l’opinione pubblica del paese si mobilita, partono le prime manifestazioni; si mobilita l’industria dell’informazione occidentale; l’opinione pubblica occidentale (di sinistra) si interessa alla vicenda; la politica internazionale, una volta creata la condizione migliore per far passare una qualche forma di intervento, si attiva. E così via.
A volte lo schema di inceppa. Nel 2002, in Venezuela, le manifestazioni studentesche guidate da Otpor si risolsero nel colpo di stato, che però riuscì ad essere sventato dall’imponente appoggio della popolazione di Caracas a Chavez e al partito socialista venezuelano. Stessa cosa in Iran nel 2009, dove le manifestazioni filo-occidentali trovarono la risposta di piazza di milioni di persone in difesa dell’indipendenza iraniana. Il più delle volte, invece, la messa in scena va a buon fine. E allora bisogna inquadrare la vicenda nel gioco geopolitico attorno alla quale si snoda.
La politica imperialista statunitense ha come obiettivo primario la normalizzazione del medio oriente. Da più di un anno è attiva su tutti i fronti (culturale-ideologico, mediatico, politico, militare) per ridurre la resistenza dei paesi mediorientali non allineati alla volontà imperialista. In questo complesso gioco di posizione, la Russia è il principale problema geopolitico occidentale, perché è il fondamentale punto di riferimento di alcuni paesi mediorientali (Siria, Iran) che ancora resistono al più o meno violento processo di asservimento. La Russia, tramite il veto ONU, tramite il finanziamento diretto e indiretto di questi stati, tramite i suoi accordi politici con la Cina, dev’essere riequilibrata, e Putin non sembra accettare questo ridimensionamento (per sue ragioni geopolitiche, non certo per una qualche coscienza di classe in favore dei popoli oppressi). L’obiettivo, dunque, è creare un vasto consenso attorno ad un eventuale cambio di regime in Russia. Cambiamento che non può evidentemente avvenire manu militari, ma che può essere promosso dall’interno, sfruttando i mille legami che gli oligarchi russi hanno con l’occidente. La creazione artificiosa di questi episodi fa parte di questo progetto. I primi a cascarci, come sempre, i diritto-umanisti della folcloristica sinistra europea, sempre pronta a mobilitarsi per qualche presunto diritto umano violato (quei diritti umani che emergono dalle pagine di Repubblica, nel nostro caso). In degna compagnia di attori e cantanti multimiliardari, orchestrati e manovrati dallo sponsor di turno. Uno schema già visto. Evitiamo di citarvi tutte le volte che in questi ultimi due anni si è riproposto (gli ultimi due anni, non gli ultimi venti..)