Le ipocrisie del civismo proprietario
La vicenda Retake e il fenomeno del volontarismo antidegrado, a cui abbiamo già dedicato alcune riflessioni nei mesi scorsi (leggi), questa settimana si è arricchito di nuovi aspetti che meritano di essere sottolineati. Prima di tutto i fatti. Domenica scorsa i pasdaran delle spugnette hanno deciso di dedicare le loro attenzioni all’isola pedonale del Pigneto dimenticando, nella loro furia iconoclasta, persino di rispettare quella proprietà privata a cui pure dicono di tenere tanto. I cultori dei muri grigi, senza chiedere il permesso a chicchessia, hanno infatti pensato bene di “ripulire” la serranda e i muri attigui al Tuba Bazar da stickers e poster, cancellando ciò che per loro non risultava conforme al pubblico decoro. La lettera aperta contro questa vera e propria prepotenza operata dai “cittadini perbene”, pubblicata in rete dalle compagne che gestiscono il locale, ha poi fatto scendere in campo a sostegno dei tetakers il Savonarola antidegrado di “Roma fa schifo”.
Anche sulla funzione svolta da questo feticista dei secchioni, un tipo triste triste che passa la vita a fotografare i sacchetti della spazzatura, abbiamo già detto la nostra in passato (leggi, leggi). Il buon Tonelli dalla sua pagina Fb ha quindi pubblicamente invitato gli haters che lo seguono a scagliarsi contro il Tuba Bazar condendo i suoi ragionamenti con i soliti luoghi comuni contro il degrado, evidentemente il decoro non prevede il rispetto delle opinioni altrui, neanche quando sono espresse pacatamente. E fin qui, per quanto fastidioso, nulla di nuovo sotto il cielo di Roma. Ciò che invece a nostro avviso rende “interessante” il retake di domenica scorsa è il fatto che questa volta al fianco dei volontari in pettorina blu siano scesi anche gli host di Airbnb del quartiere. Si è operata dunque una saldatura, tanto naturale quanto inquietante, tra il “civismo proprietario” di chi ha paura che il “degrado” diminuisca il valore dei propri investimenti immobiliari (senza mai domandarsi quali siano le ragioni reali dello stato in cui versa la città) e le aspirazioni estetiche di chi sulla gentrificazione dei quartieri specula e fa profitti rigorosamente esentasse. Un circolo vizioso che progressivamente cambia la faccia e la geografia sociale di interi quartieri, distrugge relazioni e comunità, espelle i residenti non abbienti, ne cambia la struttura produttiva trasformandoli in divertimentifici usa e getta, e impoverisce umanamente ed economicamente la città. Un fenomeno contro cui, in altre città europee, sono stati messi in piedi movimenti significativi e che più presto che tardi bisognerà iniziare a prendere di petto anche da noi se vorremo imporre un’idea di città pubblica, solidale e includente.