Le primarie 2.0 del non partito renziano

Le primarie 2.0 del non partito renziano

 

I commenti alle primarie taroccate del Pd sono più indicativi della vicenda in sé, che già racconta molto della politica italiana del XXI secolo. La compravendita di voti avvenuta a Napoli o il tentativo di aumentare artificialmente il numero di votanti a Roma, ambedue le vicende racchiuse nel proposito di dare supposta legittimità popolare ai candidati renziani, viene completamente ribaltata nella lettura mediatica mainstream. Secondo i giornali, il problema non è la “dirigenza” che ha fatto di tutto pur di evitare passi falsi e candidati sgraditi, ma il corpo del partito che ancora non si è adeguato alla rottamazione renziana. Di fronte ad una realtà dei fatti che prova, oltre ogni ragionevole dubbio, la collusione del ceto dirigente renziano con i metodi della politica corrotta dell’ultimo ventennio, i media ci raccontano l’opposto, ribaltando la vicenda e riuscendo a legittimare politicamente il disegno renziano anche di fronte alla prova provata della sua continuità totale con il passato. Il problema non è difendere una parte del Pd presuntamente “genuina” contro le derive post-politiche dei vertici. Il Pd è un soggetto malato dal principio, dalla testa renziana all’ultimo dei militanti bersaniani. Ma il tentativo culturale in atto è smascherato e va denunciato. Contrapponendo il tentativo nuovista renziano al partito ancora diretto da una presunta “vecchia guardia”, il giornali stanno indicando una direzione politica: legittimare la parabola spoliticizzante incarnata da Renzi, attaccando senza mediazioni chi ancora crede nelle forme organizzative della politica. Non è una questione interna al Pd e al suo scontro di potere tra ceti contrapposti. E’ una questione più generale: da una parte Renzi incarna *l’amministrazione*, detto all’americana, cioè il governo della cosa pubblica definitivamente slegato da dinamiche e contrapposizioni politiche cioè, nel riflesso mediatico, ideologiche; dall’altra quei pezzi di politica che, seppur votati oggi definitivamente alla liberaldemocrazia, costituiscono intralci alla completa liberazione dell’amministrazione tecnica dalla politica stessa.

In questo senso il Corriere della Sera è fin troppo manifesto. Da una parte Massimo Franco, in una sua valutazione a “mente fredda”, ci spiega come il problema sia quello di un partito legato ancora troppo al territorio, che non ha assimilato il tentativo renziano di cambiamento antropologico, e che quindi prova anche in maniera truffaldina a ritagliarsi spazi di agibilità nei contesti metropolitani. Dall’altra, il fondo illuminato di Sabino Cassese, che ci illustra di come in Italia ci sia una crisi di democrazia perché c’è troppa democrazia, i cittadini hanno accorpato nel corso del tempo così tanti strumenti per incidere nelle decisioni pubbliche che la domanda di democrazia è aumentata notevolmente rispetto al ‘900. Il problema sono allora gli strumenti offerti, non più al passo coi tempi, e che vanno adeguati. Tradotto in termini politici, il “renzismo” consiste appunto in questa naturale evoluzione: offrire moderni strumenti a nuove e più alte domande di democrazia.

Come intuibile, il ribaltamento della realtà è persino eccessivo. La caduta verticale della democrazia nelle società occidentali, la marginalizzazione della politica in favore dell’ideologia tecnicista “né di destra né di sinistra”, viene raccontata come un avanzamento generalizzato della democrazia per la popolazione. Gli intrallazzi renziani per far vincere i propri candidati vengono accollati a chi vorrebbe bloccare la rivoluzione rottamatrice. La neolingua mediatica si insinua nelle interpretazioni del presente, e il passo verso il sillogismo per cui la “vecchia politica” equivarrebbe alla corruzione è di fatto assunto anche nelle interpretazioni “di sinistra”. Questo è il dato che si va sedimentando nel lungo periodo: costringere ad accettare il piano per cui, pro o contro Renzi, la direzione della (post) modernità non possa che andare verso orizzonti già oggi in fase di completo dispiegamento: convention al posto dei congressi, primarie al posto della selezione politica interna ai processi formativi del partito, talk show al posto delle sedi preposte alla discussione politica, referendum al posto della militanza politica, depoliticizzazione progressiva vista come soluzione ai problemi strutturali di corruzione, diminuzione del peso dello Stato per rilanciare le forze nella società, eccetera. Tutti assunti che hanno fatto breccia anche nei riferimenti culturali della sinistra. E’ per questo che vanno smascherati e combattuti, per non cedere culturalmente ad un piano del discorso tutt’altro che neutro e che anzi è uno degli strumenti più incisivi nelle mani della cultura dominante.