Le ragioni economiche della lotta al TAV
In questi anni le ragioni della lotta all’Alta Velocità ferroviaria sono state sviscerate e introiettate da tutto quel mondo che si oppone alla logica delle “grandi opere”. Anni di studi hanno certificato senza alcuna possibilità di smentita dell’inutilità di determinate grandi opere, TAV su tutte. Noi, che non siamo mai stati pregiudizialmente contrari alle grandi opere di ammodernamento infrastrutturale, non possiamo che condividere l’avversione all’alta velocità, soprattutto in val di Susa. Ma il motivo principale per cui anche noi lottiamo contro il concetto di alta velocità è, in buona sostanza, diverso da una certa retorica ambientalista che circonda l’opposizione ad ogni opera rilevante. Per noi il motivo principale della lotta al TAV è di carattere economico-sociale, che sottende una visione politica precisa. L’enorme quantità di denaro necessaria al supporto dell’alta velocità viene trovata spostando i fondi destinati al trasporto locale-pendolare per destinarli a questi treni per ricchi. In sostanza si smantella uno dei cardini costituzionali più importanti, quello per cui lo Stato deve garantire il diritto alla mobilità, soprattutto per i lavoratori, deviando fondi pubblici per la costruzione di mobilità esclusiva, di classe, privilegiata. Le cifre di questa distorsione illegale le ha date ieri Sergio Rizzo sul Corriere della Sera. Il taglio delle linee regionali è un processo che va avanti da anni, almeno da un decennio, esattamente il decennio di più accelerata costruzione delle linee dell’alta velocità. Chiudono le linee per i lavoratori pendolari: “negli ultimi undici anni sono state chiuse in Italia 24 linee ferroviarie, per un totale di 1.189 chilometri e 200 metri. Archiviate la Chivasso-Asti, la Mortara-Asti e la Piacenza-Cremona. Sepolte la Saluzzo-Cuneo-Mondovì e la Alba-Nizza Monferrato, come la Sulmona-Carpinone e la San Nicola di Melfi-Gravina in Puglia [eccetera, segue elenco delle tratte cancellate ndr.] Considerando che la lunghezza delle linee ferroviarie in esercizio è di 16.755 chilometri, è come se fosse scomparso l’8,5% della rete”. Il numero dei pendolari, ci dice il giornalista, è diminuito di 90mila unità in questo 2014. 90 mila persone in più che quotidianamente hanno sostituito il trasporto su rotaia con quello su gomma, aumentando i propri costi personali e quelli sociali che provoca l’aumento del traffico automobilistico. Nella sola Campania è avvenuto un taglio del 19% dei servizi ferroviari pendolari, portando ad un calo di 150mila viaggiatori dal 2009.
I pendolari, cioè i lavoratori a cui dovrebbe essere garantito secondo Costituzione il diritto a recarsi al proprio posto di lavoro (così come muoversi liberamente ed economicamente per tutto il territorio nazionale), sono però il principale soggetto utilizzatore del trasporto ferroviario. Circa tre milioni di persone che quotidianamente prendono il treno: 670mila in Lombardia, 540mila nel Lazio, e a fronte della riduzione del servizio sono andati incontro ad un costante innalzamento dei prezzi medi del biglietto. Negli ultimi quattro anni le tariffe sono aumentate mediamente del 24,1%, uno sproposito soprattutto in periodi di bassa inflazione e di riduzione delle tratte, che non dovrebbero giustificare alcun tipo di aumento per un servizio gestito dallo Stato e che va a garantire un diritto costituzionale.
In sostanza, a quelli che dovrebbero essere i principali “clienti” del servizio viene impedito di usufruire di un loro diritto, esclusivamente per ragioni di profittabilità economica: il trasporto ferroviario regionale non garantisce quei margini di profitto che rende invece l’alta velocità. Ma i soldi per l’alta velocità, dalla sua costruzione alla manutenzione alla copertura dei debiti che questa genera, avvengono con quegli stessi soldi distolti al traffico regionale e pendolare. E’ come se lo Stato riducesse ospedali pubblici per aprire cliniche private, o chiudesse scuole statali per aprirne altre private. Se per la scuola o la salute questo fatto susciterebbe sacrosante proteste, anche il diritto alla mobilità dovrebbe essere difeso quantomeno con la stessa indignazione. L’alta velocità è cioè un’articolazione della politica liberista volta a svuotare la sostanza della Costituzione e il ruolo economico dello Stato in funzione dei privati e del libero mercato. E’ in questa cornice che dovrebbe essere letta la logica sottintesa dell’alta velocità, un’opera pensata e costruita contro i lavoratori e i loro diritti.