Le ricette per alimentare la crisi
E’ davvero interessante l’intervista apparsa qualche giorno fa su Il Fatto e linkata da un nostro commentatore in risposta al nostro pezzo sulla crisi senza soluzioni (qui). E’ interessante perché, senza neanche farlo apposta, conferma tutto ciò che andiamo dicendo (non solo noi ovviamente) da anni. La ricetta proposta da Guido Tabellini, ex rettore della Bocconi ed esponente della cabina di regia economica di Matteo Renzi, è la seguente: “giù i salari e le tasse alle imprese”. Sembra una boutade estiva, e invece è davvero il pensiero dominante degli esperti economici del governo. Abbassare i salari, tagliare la spesa pubblica, e allo stesso tempo ridurre le tasse alle imprese, sono l’unico espediente che gli “esperti” economici riescono a pensare per fare fronte alla crisi di domanda che investe l’Europa.
Come dicevamo nel post sulla crisi, cercare di espandere la domanda restringendo i salari (cioè restringendo la domanda!) è un controsenso talmente intuibile da essere sospetto. Siccome non è l’ignoranza il problema di questi economisti, quello che cova sotto queste sparate estive è riferito direttamente dal Tabellini, che ha senza dubbio il merito di essere chiaro sul tema. La quota di salari persi con queste riforme sarebbe recuperata dall’aumento di competitività nell’export, garantendo all’Italia di esportare di più i propri prodotti. Questo fatto però, è bene sottolinearlo, non è vero, come peraltro abbiamo cercato di spiegare in un nostro precedente post sull’argomento. I guadagni derivati dall’export vanno alle imprese, e non ai lavoratori, e per mantenere alti i livelli di export servono sempre maggiori dosi di produttività, cioè è necessaria la produzione costante a basso costo. D’altronde, il miglior esempio possibile per illustrare questa dinamica è proprio la Germania di questo decennio. Ad un aumento costante dei propri livelli d’esportazione ha fatto seguito un costante impoverimento dei lavoratori tedeschi, anche di quelli “garantiti”, tanto che addirittura la Bundesbank(!) ha chiesto al governo tedesco di “aumentare i salari”(!!). E non è certo un segreto il ristagno storico della domanda interna tedesca, proprio perché gli altissimi livelli di competitività sono stati raggiunti al costo di un impoverimento generale della popolazione, che ha determinato uno stallo dei consumi interni, che sono stati sostituiti dalle esportazioni (la domanda interna tedesca è addirittura inferiore a quella italiana!). Il problema è che il livello delle esportazioni non determina il benesseri dei lavoratori. Tanto per dire, nonostante questa crisi infinita, l’Italia continua a far registrare la maggiore crescita dell’export di tutta Europa, senza che questo fatto incida in qualche modo sulla qualità della vita di chi produce le merci che vengono esportate (qui e qui).
Dunque, la ricetta proposta dal governo (da questo come da tutti gli altri), è quella di sostituire la domanda interna con le esportazioni e i consumatori italiani (o europei) con quelli stranieri, non tenendo conto che i consumatori occidentali non hanno, al momento, alternative, visto che i paesi dove si produce a basso costo non hanno – evidentemente – un mercato di sbocco paragonabile a quello occidentale – proprio perché si produce a basso costo! Inoltre, questa produzione a basso costo è possibile, in Europa, solo grazie alle quote decisive di lavoro migrante e precario, su cui si fonda in tutto e per tutto la competitività tedesca, e su cui si fonderà sempre più quella italiana e del resto d’Europa. E comunque non c’è scelta, a sentire il Tabellini: “meglio un salario basso, sotto i limiti sindacali, che non lavorare”. E’ il ricatto Marchionne che, come era intuibile, è divenuto paradigma del sistema economico-produttivo italiano: “o produci a costi cinesi, o vado a produrre in Cina”. Non esiste alternativa.