Le risposte alla crisi
Va bene, lo abbiamo capito. Crisi è la parola dell’anno, la parola chiave su cui si orienteranno le prossime scelte di indirizzo politico e economico. Un concetto da usare ogni qual volta qualcuno provi ad opporsi, ad alzare la voce, ad esprimere un pensiero non in linea con il governo. Sarà la parola chiave anche nel 2009, strumento con cui far passare sottotraccia le peggiori riforme e la prevista ristrutturazione del capitalismo post-neoliberista. Fin qui insomma concetti già ampiamente espressi, anche in questo piccolo spazio che abbiamo a disposizione. Ogni giorno però scopriamo nuove emozionanti o impensabili risposte a questo stato permanente di crisi. Vorremmo riportare all’attenzione tre eventi accaduti in questa settimana, che spiegano meglio di molte analisi come si orienterà il potere nei prossimi mesi. Tre notizie, più o meno importanti, che descrivono bene lo stato dell’arte presente oggi in Italia; che fanno capire dove e come saranno le risposte che il capitale darà a questa sua fase discendente.
La prima “risposta”, o notizia, per così dire, è di ordine economico, ed è la riforma del modello di contrattazione presente oggi in Italia, frutto degli accordi del Luglio 1993. Ora, senza entrare nel merito, il governo e più o meno tutte le parti sociali (tranne, per adesso, la CGIL e ovviamente i sindacati di base), stanno riformando la contrattazione. Si passerà dal contratto nazionale di lavoro alla contrattazione di secondo livello, cioè quella che avviene nelle singole imprese o su base territoriale. Quindi non più un contratto unico di lavoro per le varie categorie che le imprese devono rispettare, stabilito a livello nazionale, ma ogni singola impresa potrà gestire in sede la contrattazione per i suoi lavoratori. E’ un esempio per così dire paradigmatico su come vuole risolvere la crisi il capitale. Abbiamo più volte affermato che questa è una crisi di sovrapproduzione. Le persone non riescono più a comprare perché il reddito si è progressivamente andato restringendosi. Quindi, anno dopo anno le imprese hanno accumulato beni invenduti, insomma la produzione andava più forte del consumo. Questo ha portato ad uno sviluppo abnorme dei debiti che i cittadini accendevano con le banche per potersi permettere di acquistare anche senza soldi reali. Acquistare soprattutto beni durevoli, quali sono i beni immobili, le case. Accumulando crediti su crediti alla fine le banche si sono ritrovate senza una lira, hanno venduto questi stock di debiti a cui hanno dato il nome di derivati ad altre banche, e hanno prodotto questa gigantesca bolla finanziaria che infine è esplosa.
Ora, di fronte a questi eventi, e alle ragioni che abbiamo sin qui spiegato, un modo per risolvere questa crisi sarebbe quello di far recuperare nettamente il potere d’acquisto ai lavoratori, e cioè aumentare considerevolmente i salari per poter riavviare i consumi. La risposta del capitale invece è quella di ridurre ancora i salari, scaricando i costi della crisi sui soggetti produttivi del sistema, e cioè sui lavoratori. E quindi cosa fa il governo, strumento politico del capitale? Abbandona la contrattazione nazionale, e centra tutto sulla contrattazione a livello d’impresa. Le imprese, ovviamente in crisi di liquidità, scaricheranno sul costo del lavoro i loro debiti accumulati, cercando di ripianarli diminuendo i salari e aumentando la produttività per singolo lavoratore. Non trovando più l’ostacolo della contrattazione nazionale, le imprese potranno così agire indisturbate. I debiti verranno ripianati e la crisi passerà, ovviamente, ma lasciando dietro di sé condizioni di lavoro peggiori, salari più bassi e un generale arretramento dei diritti sul lavoro. Sintetizzando, come sempre saranno i lavoratori che pagheranno il costo della crisi prodotta dal capitale. La crisi non è finanziaria ma economica. La soluzione alla crisi è economica e non finanziaria, e quindi è l’economia reale che occorre risanare, innalzando il potere d’acquisto dei salari.
La seconda notizia, o se vogliamo un altro tipo di risposta che il governo sta attuando è di tipo politico e sociale. La notizia esemplare di questa settimana è l’ennesimo sgombero di un centro sociale, in questo caso a Milano. Uno sgombero non isolato, ma ultimo evento di un innalzamento del livello di repressione verso i movimenti sociali e verso chiunque non si voglia uniformare al pensiero dominante. Insomma c’è la crisi, ci vuole unità d’intenti. Ci vuole un compromesso fra tutte le forza politiche della nazione per ripartire economicamente. Corollario di questa ideologia è l’eliminazione di chiunque non voglia stringere patti col potere. Fra le righe si legge anche dell’altro; tutte quelle forme di dissenso vagamente accettate in periodi di espansione economica o di tranquillità politica, da adesso in poi non verranno più tollerate. Aumenterà la repressione verso tutte le forza politiche che non rientreranno nell’unità nazionale. E, contestualmente, siamo sicuri aumenteranno le aggressioni fasciste, gli episodi di cronaca nera per spostare l’attenzione sulla sicurezza, tornerà in auge il problema degli extracomunitari che rubano o stuprano. Un film già visto, che purtroppo non cambia mai programma. Quando la crisi avanza, la propaganda del capitale tira le fila, l’ideologia dominante si mette in moto spostando l’attenzione della gente su problemi secondari. E, lontano dai riflettori, aumenteranno gli sgomberi dei centri sociali, della case occupate, dei campi rom, la repressione verso i compagni. Un libro già letto insomma…
La terza notizia della settimana per fortuna è un po’ più lieve. Anzi, passerebbe quasi inosservata se non ci fosse la nostra macabra curiosità archeologica verso i reperti fossili. L’”evento” (!) è l’annunciata scissione dei vendoliani da rifondazione per la costituzione del partito “Rifondazione per la sinistra”. Ora, nella situazione sociale così sinteticamente descritta, invece di capire le cause e predisporre una iniziativa politica antagonista e di opposizione a tutto questo, invece di rinsaldare le fila anche a discapito della visibilità mediatica dei vari politicanti, cosa fa l’ex dirigenza? Si scinde, spartendosi il misero 3% per consentire un po’ di visibilità politica all’ex candidato segretario trombato. Di parole ne abbiamo già spese troppe, però ci viene in mente un considerazione; quelli che oggi si stanno rendendo ridicoli di fronte ai militanti (gli unici ormai interessati al destino di Rifondazione), sono gli stessi che anni fa dirigevano il partito, da Genova al governo con Ferrero. O vanno bene anche adesso, oppure più semplicemente erano dei cattivi compagni di viaggio prima, dai quali ci si doveva discostare molto tempo fa. Il tempo, come sempre, è galantuomo.
Insomma, arretramento dei diritti dei lavoratori, repressione politica e sociale, indebolimento o scomparsa dei partiti di sinistra, questo è quello che lascerà sul campo la crisi del capitale. Facciamoci trovare pronti.