L’Egitto in fiamme

L’Egitto in fiamme

 

Una delle cose più tristi che accadono qui da noi, in Europa, è il facile innamorarsi di cause, rivolte e processi politici per poi abbandonarli non appena il livello di mediatizzazione che li ha gonfiati comincia a dissolversi. Così è stato per la questione libica, sulla quale più volte siamo intervenuti mettendo in guardia sulle facili emozioni indotte dai racconti manipolati dei media; così è stato, più recentemente, per le ormai lunghissime fasi di transizione di Tunisia ed Egitto, culminate con le due tornate elettorali che – rispettivamente – hanno visto il popolo tunisino confermare la scelta del modello turco di una democrazia islamica moderata, con la forte affermazione di El-Nahda, mentre il popolo egiziano sarà chiamato alle urne il prossimo lunedì 28 novembre. Due processi estremamente differenti e che oggi, ad una settimana dal voto egiziano, si distanziano sempre di più. La richiesta della piazza, che all’inizio dell’anno ha fatto crollare l’impero di Mubarak, è sempre stata quella di vedere governi di transizione che non fossero in nessun modo controllati ancora dalle Forze Armate, ovvero l’unica vera forza che in Egitto non è mai stata messa in discussione e che anzi è sempre stata l’alcova dalla quale le più alte figure della politica egiziana, nel bene e nel male, sono uscite (da Nasser a Mubarak, passando per Sadat). Ed anche stavolta, nel pieno del periodo di trasformazione più grande per la storia egiziana – dopo l’esperienza di Nasser, gli esponenti delle Forze Armate hanno messo in campo la solita strategia: caldeggiare l’opposizione della piazza, appoggiare la nuova fase transitoria e costituente, accentrare nuovamente le redini della condotta politica nelle loro mani e – cosa più sgradevole – nelle mani di alcuni personaggi che erano stati spazzati via con la caduta di Mubarak.
Ovvio, però, che queste considerazioni possano essere anche accantonate per un attimo dopo quanto accaduto negli ultimi giorni; messe da parte o quantomeno in secondo piano. Oggi tiene banco ( e ci mancherebbe) la reazione che l’esercito egiziano sta mettendo in campo per preservare un clima di rigidità fino al giorno delle elezioni; quelle stesse elezioni che la piazza non vuole celebrare, per non vedere ricomparire volti di un passato torbido nella nuova fase costituente.

Due notti di scontri, come avrete letto ovunque, con due morti (ma c’è anche chi dice 5): uno a Il Cairo ed un ad Alessandria. Oltre 700 i feriti, di cui 40 sono militari. Il resto del racconto è pura cronaca; qualunque riflessione politica deve attendere l’esito della fine degli scontri e le ripercussioni sul mondo politico egiziano, ad oggi scosso solo dalle dimissioni del Ministro della Cultura, Emad Abou Ghazi. Il resto della formazione di governo, presieduta dal generale Tantawi, è invece in seduta permanente – almeno per ora, mentre scriviamo – con il Consiglio Supremo dell’Esercito. È però certo, ormai, che se piazza Tahrir è l’emblema di una forte opposizione sociale, l’Egitto tutto e non solo Il Cairo è oggi teatro di una manifestazione di dissenso molto diffusa e radicale. Un’inondazione di rabbia resa ancor più forte dall’arresto di una delle candidate alle elezioni presidenziali sostenuta dal movimento “6 aprile”, Bothaina Kamel.
La striscia di sangue che sta nuovamente infiammando l’Egitto sembra destinata ad allargarsi; staremo a vedere nelle prossime ore come evolverà la situazione.

*** Per seguire da vicino quanto accade, oltre ai soliti siti di controinformazione segnaliamo anche l’Agenzia di Stampa di Stato egiziana MENA (http://www.mena.org.eg/index.aspx) ed il portale di Al-Arabya in lingua inglese (http://english.alarabiya.net/). Spiacenti per coloro che immaginavano di trovare fonti stampa egiziane non controllate, direttamente o meno, dalle Forze Armate. ***