L’esame di maturità, il crollo dell’Urss e altre catastrofi…
Anche oggi ci troviamo a commentare – nostro malgrado – le tracce dell’esame di maturità e, in particolare, il tema di argomento storico, che è sempre quello che suscita più dibattito. Quest’anno, però, la nostra attenzione non è stata catturata dal loro contenuto, quando da un assurdo commento dello “storico” Giovanni Belardelli sull’edizione online del “Corriere”.
Il contenuto della traccia, infatti, non è assolutamente deprecabile: al suo centro si trova l’interpretazione sul Novecento di Eric Hobsbawm, che è non solo uno dei più grandi storici viventi, ma soprattutto un marxista che non ha mai rinnegato niente. Una delle sue ultime opere è proprio una raccolta di saggi ed articoli scritti tra il 1956 e il 2009 e intitolata Come cambiare il mondo. Perché riscoprire l’eredità del marxismo. Dunque, laddove le tracce di maturità l’anno scorso contenevano una citazione di Mussolini e una traccia sugli Ufo (leggi), quest’anno si è richiesta una riflessione sull’interpretazione di un grande storico marxista.
Giovanni Belardelli – storico nostrano di quelli che vanno per la maggiore nei quotidiani che si sono fatti, negli ultimi 20 anni, portavoce del revisionismo storico – non riuscendo evidentemente a capacitarsi del fatto che Hobsbawm consideri, per le popolazioni dell’Europa orientale, dell’ex-Urss e dell’Africa una “catastrofe” la fine del mondo sovietico, nega, mistifica e stravolge le parole dello storico inglese (leggi). Il tutto su uno dei siti di informazione più letti in Italia.
Secondo Belardelli – nel suo commento surreale e costruito sul nulla – «porta del tutto fuori strada la definizione di “età di catastrofe” presente nella citazione del libro di Hobsbawm, soprattutto se ci si riferisce, come egli fa, alla ex Urss e alle ex «nazioni socialiste» dell’Est europeo: per quanto si vogliano sottolineare (a cominciare dalla Russia attuale) i problemi e le incertezze della transizione alla democrazia avvenuta in quei Paesi, è indubbio che per chi vi vive la situazione sia enormemente migliorata rispetto a quella precedente il 1989. Ma la responsabilità di aver impiegato una definizione inappropriata per il periodo che inizia con gli anni ’70 non è di Hosbawm ma del traduttore, come forse una più attenta lettura del testo da parte degli esperti ministeriali avrebbe potuto far supporre. Infatti nella versione originale (ma anche nel sommario dell’edizione italiana) gli ultimi decenni del secolo vengono definiti con il riferimento non a un’«età di catastrofe» (ripetendo dunque, inverosimilmente, l’espressione già usata per i trent’anni successivi al primo conflitto mondiale) bensì a una «frana» (The Landslide)».
Per Belardelli, dunque, non sarebbe possibile definire “una catastrofe” la fine del mondo sovietico: ma non giustifica ciò – come farebbe un qualsiasi storico – apportando dati e fatti. No, preferisce dire che neanche Hobsbawm lo affermi, adducendo a un inesistente errore di traduzione. La frase incriminata, come è riportata nella traccia della maturità e nell’edizione italiana è infatti questa: «L’ultima parte del secolo è stata una nuova epoca di decomposizione, di incertezza e di crisi – e addirittura, per larghe parti del mondo come l’Africa, l’ex URSS e le ex nazioni socialiste dell’Europa orientale, un’Età di catastrofe» (leggi). L’edizione inglese (e quindi originale) del saggio, a pagina 6, riporta esattamente la stessa frase: «The last part of the century was a new era of decomposition, uncertainty and crisis – and indeed, for large parts of the world such as Africa, the former U.S.S.R. and the formerly socialist parts of Europe, of catastrophe» (leggi). Dove sarebbe l’errore di tradizione (esclusa la testa di Belardelli)? Non è dato saperlo.
Ovviamente pensiamo che si possa essere (e noi lo siamo) o non essere d’accordo con l’interpretazione di Hobsbawm. Ma che non si possa negare a priori, come se fosse anche solo impossibile concepirla.
Il commento di Belardelli segna un vero e proprio passaggio di livello del revisionismo: da un uso politico della storia – in cui gli eventi vengono anestetizzati, decontestualizzati, falsificati – si passa ad un vero e proprio uso politico della storiografia, piegata ai fini della vulgata che il Potere vuole diffondere. Lo abbiamo scritto mille volte: la fine del comunismo in Urss – al di là del giudizio specifico sui singoli fatti – ha portato la conseguenza tragica della fine di un orizzonte politico alternativo al quello dato dal capitalismo e del neoliberismo. “Un altro mondo possibile” non può essere neanche immaginato: la “fine della storia” deve essere propagandata a tutti i livelli, l’immaginario creato da una realtà comunista eliminato.
Ed è per questo che Belardelli si affretta a negare il peggioramento effettivo delle condizioni di vita delle popolazioni dell’Europa orientale dopo il 1989. Peggioramento che non sta solo nelle teste di noi poveri “vetero” dipinti col colbacco in testa, ma anche in inchieste internazionali curate da istituti non certo comunisti. Il tutto riassunto in ottimi volumi come quello di Angelo D’Orsi, storico marxista che ha recentemente pubblicato il saggio 1989. Del come la storia è cambiata, ma in peggio.
È inutile far notare a persone come Belardelli la diminuzione dell’aspettativa di vita in Russia (leggi), il crollo demografico dell’Europa orientale, la fine di quel sistema di sicurezza (casa, lavoro, pensioni, sanità, istruzione per tutti) che ha costretto milioni di persone ad emigrare ad occidente: il tutto dovuto alle politiche neo-liberiste introdotte nell’Europa dell’est e in Russia dopo il 1989-91. È inutile parlare dei sondaggi che indicano come il comunismo sia rimpianto in molti dei paesi dell’Europa orientale.
Ed è inutile perché contro la malafede e la disonestà intellettuale – ma anche contro un’ignoranza che si considera virtù – non ci sono dati che tengano, soprattutto nei casi – come questo – in cui esse superino anche quel senso del pudore che dovrebbe spingere un personaggio pubblico, docente universitario, a non fare figure tanto brutte. E, lasciatecelo dire senza temere errori di traduzione, la disonestà intellettuale e la malafede sono vere catastrofi.