L’inesistente opposizione del blocco politico reazionario alla vigilia di Bologna
Che i due Matteo rappresentino due chiappe di uno stesso culo, crediamo ci sia arrivata anche quella parte di popolazione che ancora si reca imperterrita a votare. Siamo convinti che sia per forza così, non c’è altra spiegazione plausibile. Persino in un paese senza memoria come il nostro, lo scambio di ruoli avvenuto tra le due chiappe riguardo alla Legge di stabilità avrebbe provocato un rifiuto neanche politicamente motivato, ma visceralmente inevitabile. Ma come, si starà chiedendo il cittadino medio convinto del proprio dovere elettorale, dopo anni in cui la Lega Nord ha costruito la sua forza elettorale proprio sulla critica alla tecnocrazia europeista che ha imposto ai governi nazionali il vincolo di bilancio, la lotta contro la finanziaria appena varata da Renzi si basa tutta sul fatto che è una legge in deficit? Che si accumulano debiti che non si potranno ripagare? Per la Lega di Salvini adesso il problema è che Renzi starebbe violando quel pareggio di bilancio stabilito in Costituzione per fini elettorali. Davvero è possibile prendere per il culo così la gente senza paura di essere prima o poi inchiodati alle proprie boiate?
Chiaramente, il problema non è né nella manovra fintamente espansiva di Renzi, né nelle convinzioni della Lega. E’ un gioco delle parti. Se il partito di governo dice A, il partito d’opposizione dice B, se questo dice nero, l’altro dice bianco, e così via. Senza alcuna impostazione politica da difendere, perché tutte le forze politiche presenti oggi in parlamento condividono lo stesso medesimo orizzonte politico ed economico di fondo. Sebbene espressione di settori sociali differenti, di borghesie in competizione tra loro, Lega Nord e Pd, e con essi i rispettivi corpi elettorali, condividono pienamente la cornice liberale e liberista entro cui pensare lo sviluppo del paese. E’ per questo che la stessa Lega Nord che oggi bercia contro l’Europa è lo stesso partito che per vent’anni (vent’anni, non venti giorni) è stata al governo approvando tutte le riforme possibili che hanno devoluto poteri nazionali alle istituzioni sovranazionali europeiste; per lo stesso motivo, è sempre la stessa Lega Nord che oggi sbraita contro la riforma Fornero dopo aver approvato al governo la riforma Biagi; e per finire, è sempre la medesima Lega Nord che oggi raccoglie voti contro i vincoli finanziari europeisti dopo aver approvato l’introduzione in Costituzione del pareggio di bilancio facendo il gioco di astenersi poi in Senato. Di cosa stiamo parlando, allora?
La manifestazione di domenica a Bologna è l’ennesimo passaggio verso la costruzione di un blocco reazionario che possa competere (non vincere, cosa che a Salvini non frega nulla, ma competere da una posizione di forza) con il Pd alle elezioni nazionali. E’ una questione seria, che non va per nulla banalizzata solo perché un personaggio come Salvini non ha alcuna possibilità di vincere le elezioni. E, d’altra parte, non va neanche fatto l’errore di equiparare un soggetto come la Lega a forme di (neo)fascismo più o meno mascherato. Fosse solo questo, non staremmo neanche qua a parlarne, e invece crediamo ci sia necessità di parlarne perché evidentemente per più di qualcuno il “problema Lega” o non sussiste o è esclusivamente relegato alla questione antifascista (o, peggio ancora, antirazzista).
Il tentativo di Salvini è specchiato. In una fase in cui al centrodestra è esclusa la possibilità di una vittoria elettorale, non serve proporsi come soggetto in grado di aggregare più consensi possibili, ma come simbolo di un ricompattamento politico interno alla destra liberista ma su posizioni identitarie e reazionarie. Il tentativo di Salvini è quello di costruire un blocco reazionario di massa, scevro da dannosi cedimenti a soggetti e retoriche neofasciste ma capace di raccoglierne le istanze meno compromettenti, sottraendole alla marginalità radicale, veicolandole in un vasto blocco sociale propenso al risentimento e alla condivisione di certi temi e di una certa mentalità. E’ d’altronde una dinamica tipica, quella per cui in fasi di regresso politico si punta più a rinforzare il fronte interno e le spinte della propria base sociale piuttosto che diluire la propria appartenenza in funzione della gestione del potere. Succede a destra come a sinistra, e Berlusconi, che per queste cose ha ancora fiuto, ha capito che nella fase attuale ha più senso cedere potere a una destra capace di ricompattare tale fronte piuttosto che continuare a perdere voti e appeal accompagnandosi coi resti di Forza Italia. Tanto sa benissimo che al momento opportuno, recuperati voti e potere, uno come Salvini scomparirà senza neanche lasciare traccia. Esattamente come il Bossi di lotta e di governo: leone a Pontida, docile signor si al governo; contro l’Europa delle banche all’opposizione, zelante europeista col mugugno in Consiglio dei ministri.
Tutto apposto dunque? Decisamente no. Perché un blocco reazionario di massa, anche se non direttamente competitivo per il potere, è un grande problema per la sinistra di classe. Perché eserciterebbe egemonia proprio in quei territori, in quei quartieri, in quelle borgate, e proprio sugli stessi settori sociali, che la sinistra cerca faticosamente di organizzare; perché rappresenterebbe un evidente problema di agibilità politica per una militanza politica già in crisi tra repressione ed errori propri; perché, infine, la costituzione di un blocco reazionario di massa schiaccerebbe la sfida dell’alternanza tra liberisti-liberali di governo e liberisti-reazionari di opposizione, espellendo dal dibattito e dal politicamente consentito qualsiasi altra alternativa. Un po’ come Grillo insomma, solo che ad un livello evidentemente più pericoloso, visto che per adesso il M5S non organizza spedizioni punitive contro militanti di sinistra, non assalta centri sociali, non impedisce fisicamente l’organizzazione di un’opposizione di classe. Ma i motivi riguardanti la pericolosità di un passaggio del genere non sono esauriti. Una competizione elettorale in cui l’unica opzione è fra una destra di governo e una reazionaria renderebbe la destra di Renzi meno “destra”, più “votabile”, insomma farebbe passare il Pd come opzione “meno peggio” rispetto all’ipotesi di leghisti al Ministero dell’interno o dell’economia (che, ammettiamo, un brivido ce lo mette pure a noi). Anni di convincimenti anti-renziani verrebbero meno nella precipitazione elettorale che chiamerebbe a raccolta tutti i “sinceri democratici”. Renzi si metterebbe il fazzoletto rosso al collo, in prima fila al 25 aprile, ed ecco assicurato il voto antifascista e con esso la disintegrazione totale di ogni possibile ricostruzione di una sinistra anti-liberista. E’ successo mille volte in questi anni, accadrà anche questa volta. E’ esattamente questo l’auspicio di Renzi, quello di avere Salvini come competitor elettorale; ed è esattamente questo che spera Salvini: avere come avversario un convinto alfiere delle politiche europeiste su cui riversare tutto il proprio populismo possibile. Questa è la sostanza dello stesso culo che rappresentano, un sostengo vicendevole in cui ciascuno ha bisogno dell’altro. E questo descrive anche la pericolosità della manifestazione bolognese, momento che potrebbe sancire l’assoggettamento momentaneo di Berlusconi a Salvini consentendogli di compattare un fronte su posizioni reazionarie, razziste, sovraniste e sempre, comunque e inevitabilmente liberiste.
Per questo noi saremo a Bologna, per lo stesso motivo per cui ci siamo spesi nell’organizzazione della grande manifestazione di febbraio contro l’arrivo di Salvini a Roma. Perché fa parte dello stesso percorso, nel tempo divenuto in tutta Italia mobilitazione diffusa e condivisa, che ha avuto la forza di indicare un nemico da combattere con ogni mezzo ma senza ancora avere la capacità di raccogliere consenso attorno al pericolo Salvini. Bologna è un passaggio anche per la sinistra allora, se vuole ancora avere un ruolo in questo paese.