L’irrazionalità liberista degli sgomberi di Tronca

L’irrazionalità liberista degli sgomberi di Tronca

 

Il liberismo economico altro non è stato, in questo quarantennio, che l’enorme diga innalzata dal sistema produttivo alla sua sempre più drastica incapacità di valorizzare i capitali investiti nei paesi a “capitalismo maturo”. Se il capitalismo è per definizione un sistema “irrazionale”, il liberismo costituiva la risposta in qualche modo razionale alla perdita di profittabilità. Razionale ovviamente rispetto al capitale privato, e tenendo conto di un orizzonte di breve-medio periodo. La crociata che sta intraprendendo Tronca contro l’economia pubblica cittadina è, viceversa, completamente irrazionale, sia economicamente che politicamente. Non sta sacrificando quote di consenso in nome del profitto privato, ad esempio. La mole di patrimonio immobiliare cittadino regolarmente assegnato tramite delibera a una miriade di associazioni del tipo più vario, non è oggi in alcuno modo valorizzabile. Sono locali relativamente piccoli, per lo più ubicati in periferia, da ristrutturare completamente. La valorizzazione economica liberista necessita all’inverso di spazi enormi dove realizzare economie consumistiche di scala (centri commerciali, multisala, sale bingo, mega-ristoranti, mega-bar, centri sportivi o benessere, eccetera); necessità di territori valorizzabili, che coincidono a Roma con il suo centro storico, non con la periferia economicamente desertificata; e, soprattutto, la valorizzazione liberista-palazzinara, a Roma, non passa per il restauro e il recupero, ma per l’abbattimento e la ricostruzione. Perché allora insistere con una crociata fintamente legalitaria di riappropriazione di un patrimonio che avrebbe poco appeal per il privato e pochissimo per il Comune? L’unico motivo razionale – ovviamente, razionale per una logica liberista – è quello di liberarsi, svendendolo, di gran parte del patrimonio immobiliare pubblico per ridurre in chiave finanziaria il debito pubblico cittadino, all’interno di una dialettica con la Corte dei conti e con la Tesoreria comunale che impone una rendicontazione che possa far risultare “in attivo” finanziariamente quello che è in costante perdita economicamente. E’ una operazione di facciata ed esclusivamente di valorizzazione finanziaria che non ha corrispondenti con la realtà. Lungi dall’essere a costo sociale zero, questo lifting finanziario degrada interi pezzi di popolazione lasciando dietro di sé un impoverimento concreto di parti importanti della città. La valorizzazione finanziaria che consente di mettere un + nella casella del bilancio cittadino produce un decadimento economico e sociale che poi dovranno essere le stesse casse comunali a risolvere.

Questo discorso, se vale sul piano generale, è palese nella vicenda della Palestra popolare di San Lorenzo. La vicenda fa storia a sé nel più generale attacco comunale agli spazi sociali cittadini e all’economia pubblica metropolitana. La palestra di via dei Volsci è l’unica attività di un movimento antagonista che, invece di degradare nel riflusso politico di questi anni, ha rafforzato le sue attività, trasformandosi in un’istituzione riconosciuta da tutta la comunità di quartiere e da chi la vive provenendo da ogni zona di Roma. E’ un esperimento di riappropriazione che ha fatto scuola, che ha imposto un modello di sport popolare ripreso in tutta Italia, che ha lavorato in controtendenza reggendo la botta del regresso politico cittadino, rafforzandosi in questi anni invece di cedere quote di legittimità, come purtroppo avvenuto praticamente ovunque. Un luogo attraversato quotidianamente da centinaia di persone, che offre un servizio e al tempo stesso una forma di emancipazione. L’immobile non è in alcun modo valorizzabile. Può essere svenduto al privato unicamente all’interno di una dinamica speculativa che ne preveda la chiusura e l’abbandono in attesa della rivendita quando torneranno a salire i prezzi degli immobili. Il piccolo quartiere di San Lorenzo già vede la presenza di quattro supermercati e di decine di alimentari più o meno camuffati; c’è la presenza del cinema Tibur; ha decine di sale giochi, locali per scommesse, centinaia fra bar e pub; e via dicendo. Esattamente come avvenuto con il vecchio stabile occupato originariamente da Esc in via dei Reti, o come avvenuto con i locali di via dei Sabelli occupati e subito sgomberati dal progetto Giap, una volta lasciati vuoti questi immobili sono stati chiusi e non più utilizzati: ancora oggi giacciono inermi, abbandonati, svalutati, impoverendo la qualità della vita del quartiere. A San Lorenzo è già presente in eccesso qualsiasi opzione economica legata all’offerta di divertimento o di consumo. Perché allora tornare in possesso di un locale che paga da anni l’affitto e le utenze? Perché privarsi di un affitto garantito e di utenze regolarmente pagate svendendo un bene che genera introiti ad un privato che non ne genererebbe per le casse comunali, se non al momento dell’atto di svendita? Sono domande destinate a rimanere inevase, perché alla base delle scelte del prefetto-commissario Tronca non c’è alcuna razionalità economica, politica, sociale o legalitaria: c’è solo una partita tra bilancio comunale e tesoreria, che prescinde dalla reale gestione dell’economia cittadina e dello sviluppo dei suoi quartieri. Nonostante questo, siamo comunque convinti di una cosa: la Palestra popolare di San Lorenzo non potrà essere sgomberata. E’ un simbolo, e bisogna stare attenti a giocare sui simboli. Vale per noi, vale per la repressione.