L’ONU tantum e il “revisionismo cartografico” del Corsera
Dopo il voto ONU che ha sancito il riconoscimento della Palestina come Stato osservatore non membro, ci siamo presi 24 ore di tempo per provare a commentare, incuriositi (a ragion veduta) dal vedere gli orrori che la stampa nostrana avrebbe avuto il coraggio di tirare fuori dopo la storica decisione dell’Assemblea Generale del palazzo di vetro. Prima di tutto, comunque, rimaniamo con i piedi per terra; il voto ONU (138 sì, 9 no e 41 astensioni) e il “sì” dell’Italia sono il solito fumo negli occhi, e questo non lo si deve dimenticare. Il primo, si sa, perché formalmente sembra essere stato fatto chissà quale passo avanti nella soluzione del conflitto arabo-israeliano quando invece, al di là di questo patetico palliativo messo su dal concistoro degli Stati Uniti, la road map da seguire in Medio Oriente viene scandita e decisa dal binomio israelo-statunitense, senza che né l’Assemblea Generale né il Consiglio di Sicurezza abbiano mai impedito l’espansione coloniale del sionismo in terra palestinese. In Palestina muore la gente, in Palestina c’è un embargo informale, la Palestina viene calpestata quotidianamente. Provate a chiedere ai cubani cosa pensano del voto ONU e delle risoluzioni che annualmente la comunità internazionale adotta alla quasi unanimità in merito alla fine dell’embargo. Fanculo il voto ONU.
Altrettanto stonato sembra essere il “sì” italiano di giovedì. Non tanto come sintomo di rottura con la politica estera del precedente governo, piuttosto perché il viaggio di Monti in Qatar dello scorso 19 novembre sembra aver posto le basi per un gesto di “parzialità dovuta” del nostro paese in materia di politica estera e mondo arabo. Un ossequio, una “marchetta”; ma, parafrasando il sovrano francese Enrico IV, Doha val bene una messa. L’accordo, infatti (vedi qui), prevede che la nuova joint venture avrà avrà a disposizione un capitale complessivo di 2 miliardi di euro da investire sul nostro adorato “Made in Italy”; buona moneta di scambio, immaginiamo, il “sì” italiano alla Palestina come Stato osservatore…tanto più che il voto del nostro Paese, al di là di tutto, non è andato assolutamente in controtendenza con la scelta maggioritaria.
Insomma, come dicevamo all’inizio del post, rimaniamo con i piedi per terra, pronti a denunciare non solo l’ipocrisia di facciata di votazioni come quella di giovedì, ma anche e soprattutto la quotidiana violenza sionista e la complicità silenziosa (ma assordante) della maggior parte della stampa italiana. La stessa stampa, l’abbiamo più volte ribadito, che sta trattando in maniera vergognosa la nuova offensiva israeliana nella Striscia di Gaza. E allora, come premesso nelle prime righe, abbiamo voluto aspettare quale porcheria avessero in mente di pubblicare i prodi guerrieri del Corsera o Repubblica con riferimento al voto ONU di 2 giorni fa. Non solo il solito Pigi Battista, ma soprattutto Aldo Grasso dalle colonne del settimanale Sette (in abbinamento col Corriere): Grasso, infatti, capovolge la frittata, accusando Abu Mazen e le organizzazioni politiche palestinesi di monopolizzare e mistificare l’informazione mediatica sul conflitto a Gaza (!). Roba da sgranare gli occhi, stropicciarli e poi provare a leggere di nuovo. Il conflitto, a detta dell’audace Grasso, è rappresentato secondo gli standard mediatici imposti dai palestinesi. Un po’ come dire che nella democratica America di fine anni ’60 la popolazione nera si automassacrava per poter poi gestire mediaticamente le conseguenze da un punto di vista politico.
Ma il pezzo forte, nel Corriere di venerdì 30 novembre, lo hanno sfornato gli infografici. Con un’opera mista di ignoranza, disinformazione premeditata e “revisionismo cartografico”, l’infografica del Corriere ha messo a pagina 3 una serie di cartine geografiche che, come si usa in questi casi, dovrebbero ripercorrere lo smembramento della Palestina dal 1948 ad oggi. “I confini nel tempo” recita la didascalia…una presunzione che però ha dell’inverosimile.
La prima cartina (1948-’49), infatti, ha la presunzione di segnare i confini dopo la prima guerra arabo-israeliana, mentre l’ultima prende in esame l’attuale situazione; in mezzo, la cartina che, dopo la Guerra dei Sei Giorni, ha sancito la massima espansione sionista in terra palestinese. Notate nulla di strano? Ebbene si, l’infografica del Corriere concede oggi allo Stato Palestinese la stessa porzione di terra che riporta sotto il governo palestinese nella prima cartina, ovvero quella del 1948. Sicuri che nel ’48 la Palestina era solo il fazzoletto di terra cisgiordano sommato alla Striscia di Gaza? Ovvio che no. Ma il dato che si evince è indicativo. La stampa borghese e filosionista che sta raccontando con dichiarata parzialità quanto sta avvenendo oggi a Gaza non si accontenta di tacere l’informazione reale e di manipolare la narrazione del conflitto arabo-israeliano. Ciò a cui assistiamo è una vera e propria opera di revisionismo storico, smaccatamente “cartografico” in questo caso.
Per quanto ci riguarda, oltre a sapere da che parte stare, sappiamo perfettamente la crudele parabola che ha interessato la terra di Palestina dal 1948 ad oggi; lo scorso 12 aprile, infatti, recensimmo un testo (vedi qui) che parlava della Palestina proprio come una terra cancellata dalle mappe. Senza dilungarci su quest’infame operazione, consigliamo alla redazione del Corriere e ai suoi infografici non solo la lettura del libro appena citato, ma anche un’accurata analisi della copertina che riporta, fedelmente, lo smembramento di quella terra da sempre nel mirino dell’imperialismo sionista.
PALESTINA VINCERÀ!