ma de che stamo a parla?!
E’ martedì mattina e sei in fila alla cassa del supermercato quando ti squilla il cellulare. Riconosci il numero, è una compagna dell’ambasciata cubana. “Ciao, ci hanno appena comunicato che alle 11 inizierà un sit-in contro Cuba proprio qui di fuori, non è che potresti venire? Mi raccomando avvisa anche gli altri”. La compagna è un po’ preoccupata, non si riesce a capire da chi sia indetta l’iniziativa e l’ultima volta i giovani virgulti dell’allora Alleanza Nazionale tentarono addirittura di scavalcare la recinzione, salvo poi essere respinti con le pompe dell’acqua dai cubani. Molli il carrello con tutta la spesa davanti alla cassiera che ti guarda, giustamente, incarognita e raggiungi in fretta il parcheggio. Nel frattempo guardi l’orologio: sono le 10.50 e devi attraversare mezza Roma. “Cazzo”. Inizi a smadonnare contro il sindaco, il traffico, il tipo davanti che cammina a due all’ora e tutte le divinità evidentemente anticomuniste. Ed è in quel momento che prende corpo la prima delle domande che non troveranno risposta in questa mattinata strana: ma com’è possibile che un’ambasciata venga a sapere di un sit-in ostile solo 20 minuti prima che inizi? Sarebbe successa una cosa del genere se l’ambasciata fosse stata quella degli Stati Uniti? Com’era prevedibile e nonostante tutte le infrazioni arrivi tardi. Giusto in tempo, però, per capire che hai rischiato svariati punti della patente per otto (dicasi otto) sfigati del Partito Liberale e dell’Italia dei valori che stazionano indisturbati davanti all’ingresso. E allora perplesso ma un po’ più tranquillo ti poni la seconda domanda che non troverà risposta in questa mattinata strana: ma com’è possibile che venga indetto un sit-in di fronte ad un’ambasciata e che non sia presente un solo poliziotto? Sarebbe successa una cosa del genere se l’ambasciata fosse stata quella degli Stati Uniti? Con un po’ più di calma ti accorgi che intorno all’ambasciata “gironzolano” anche altri compagni ed allora, vincendo il disgusto, cerchi di dare un senso alla giornata e ti avvicini al drappello dei faggiani per cercare di capire cosa li abbia portati fin li. “Siamo venuti per protestare contro i maltrattamenti subiti Yoani Sanchez” – “Cosa? Chi?” – “ma si, la blogger che viene censurata dal regime cubano”. E a quel punto non sai più se ridere o se piangere, perchè per credere a una cazzata del genere o devi essere in malafede o devi essere un coglione patentato. E questi sembrano proprio appartenere alla seconda categoria. Dovresti spiegargli che la loro vittima della “censura” gestisce, dall’Avana, un blog tradotto in 18 lingue. E che nonostante non lavori abbia un tenore di vita molto più agiato di milioni di cubani onesti. Dovresti raccontargli dei soldi che riceve da Miami e che tutto questo si inserisce nel disperato tentativo di minare la normalizzazione dei rapporti tra Cuba e l’Unione Europea. Dovresti fargli notare che non esiste una sola prova di quanto afferma la Sanchez, chessò, visto che si tratta di una “mediattivista” magari una foto coi lividi del pestaggio poteva anche metterla. E invece niente, solo la sua parola e le farneticazioni del Miami Herald. Lo stesso giornale, giusto per valutarne l’attendibilità, che nel 2006 sosteneva con forza che Fidel era morto e che era stato sostituito da un sosia. Ma soprattutto avresti dovuto chiedergli con quale faccia si lamentassero della “brutalita” del “regime” cubano quando pochi giorni prima nella “democratica” Italia un detenuto era stato massacrato di botte fino a farlo morire. Uno stato “democratico” in cui un poliziotto può sparare ad alzo zero contro una macchina in movimento dall’altro lato dell’autostrada, uccidere una persona, e ricevere una condanna a soli 6 anni. Uno stato”democratico” in cui tre poliziotti possono uccidere a manganellate un ragazzo di ritorno da un concerto e poi beccarsi solo tre anni. E l’elenco potrebbe continuare per ore. E allora ti poni la terza domanda che non troverà risposta in questa mattinata strana: ma de che stamo a parla?!