Ma insomma, chi è il cattivo?
Ieri sulle colonne de “La Stampa” Domenico Quirico ha affidato ad un lungo articolo il racconto della sua prigionia. Si tratta di un documento che merita di essere letto perchè, anche se solo per qualche frame, fa cortocircuitare la narrazione dominante su quanto sta avvenendo in Siria e la distinzione manichea fra “buoni” e “cattivi” che ci viene incessantemente riproposta dai media mainstream. Cio che rende l’articolo particolarmente interessante, però, è che a scriverlo è un giornalista embedded con la “rivoluzione”. Un cronista che era partito con la missione di raccontare la “sollevazione popolare” contro il “dittatore” Assad ma che è stato costretto, così come il il suo compagno di prigionia Pierre Piccinin, a prendere atto della realtà: “Al Faruk è una brigata molto nota della rivoluzione siriana, fa parte del Consiglio nazionale siriano, e i suoi rapprsentanti incontrano i governi europei. (…) L’occidente si fida di loro ma ho imparato a mie spese che si tratta anche di un gruppo che rappresenta un fenomeno nuovo ed allarmante della rivoluzione: l’emergere di gruppi banditeschi di tipo somalo, che approfittano della vernice islamista e del contesto della rivoluzione per controllare parte del territorio, per taglieggiare la popolazione, fare sequestri e riempirsi le saccosse di denaro. (…) Un gruppo che si professa islamista ma in realtà è formato da giovani sbandati che sono entrati nella rivoluzione perchè la rivoluzione ormai è di questi gruppi che sono a metà fra il banditismo e il fanatismo. Seguono chi gli promette un futuro gli dà le armi, la forza, gli versa il denaro per comprarsi i telefonini, computer, vestiti.” Il belga Piccinin subito dopo la liberazione è andato ben oltre la disillusione dell’italiano e, intervistato dalla radio RTL, ha riferito di aver ascoltato una conversazione via Skype in cui si parlava dell’operazione con i gas nella capitale siriana come di una provocazione fatta dagli stessi “ribelli” per indurre l’Occidente ad intervenire militarmente, aggiungendo poi: “mi costa dirlo, perchè dal maggio 2012 sostengo il Free Syrian Army nella sua giusta lotta per la democrazia”. Nulla di nuovo o di trascendentale, si tratta ovviamente di un bug temporaneo del sistema informativo che nel giro di poche ore verrà corretto ripristinando il normale funzionamento della fabbrica del consenso, e del resto la costruzione ideologica delle giustificazioni alle guerre a alle aggressioni imperialiste è una storia vecchia quasi quanto la favola del lupo e dell’agnello. Ciò che è relativamente inedito, però, è la l’incapacità della sinistra, anche quella estrema, nel costruirsi anticorpi rispetto a queste retoriche. Come un difensore rincoglionito che continua imperterrito ad abboccare sempre alla stessa finta. Le ragioni sono molteplici e complesse ma sicuramente l’aver smarrito un proprio punto di vista materialista e di classe ha contribuito (e non poco) a dismettere le categorie politiche per sostituirle con quelle etico-morali, rendendoci poi ostaggio delle campagne “umanitarie” delle classi dominanti. E allora è da questo che bisogna ripartire, dalla costruzione di un punto di vista autonomo… hai visto mai che prima o poi riusciamo a portar via la palla all’attaccante?