Marchionne e la produttività
Circa due anni fa iniziava il braccio di ferro fra Marchionne e gli operai della Fiat. In realtà, sebbene la vicenda fosse drammatica anche di per sé, racchiudeva soprattutto il nocciolo delle relazioni industriali che si andavano modificando in questo paese. Come sappiamo gli operai – nonostante una lotta di classe durissima, nonostante il no al referendum (vinto solo grazie al terrorismo psicologico e alla partecipazione al voto dei colletti bianchi), nonostante una sovraesposizione della FIOM che mise in gioco in quella campagna tutta la sua forza organizzativa – persero quella partita. Marchionne e la Fiat l’ebbero vinta su tutto. Termini Imerese venne chiuso; venne riformata la contrattazione aziendale; la Fiom, cioè il sindacato più rappresentativo fra i lavoratori Fiat, venne espulso dalla fabbrica stessa.
Da un giorno all’altro, senza contrattazione, senza mediazione politica, ma imponendo dall’alto la volontà delle decisioni aziendali, la Fiat ristrutturava la sua produzione e otteneva l’ambito aumento di produttività che, secondo Marchionne, avrebbe risolto i problemi strutturali dell’azienda. Appena risolta la questione con gli operai, però, la Fiat annunciò l’ingresso in cassa integrazione di tutte le sue maestranze lavorative. A qualcuno, i più fortunati, toccò una settimana lavorativa di due giorni (cioè 8-10 giorni al mese di lavoro); ai più, invece, la cassa integrazione a zero ore, con lo stipendio trimezzato e la concreta aspettativa del licenziamento.
Tutto questo fu giustificato dal lancio di “Fabbrica Italia”, cioè dal piano d’investimenti per 20 miliardi che avrebbe dovuto re-industrializzare il paese. La politica, senza uno straccio di programma, di preventivi, di nuovi modelli, di piani industriali, finse di crederci, e accettò supinamente il nuovo corso inaugurato da Marchionne. Non solo il centrodestra. Anche la maggior parte del centrosinistra, Fassino e Renzi in testa; anche i sindacati, Cisl, Uil ma anche l’ala destra della Cgil, evidentemente insoddisfatta per la piega impressa da Landini e da tutta la Fiom nella vertenza in corso.
A due soli anni dalle promesse di un nuovo miracolo economico, finalmente l’altro ieri Marchionne ha detto quello che tutti sapevano ma nessuno aveva il coraggio di dire. E cioè che non esiste nessun piano industriale, che 20 miliardi di euro d’investimenti la Fiat non li ha mai fatti e mai li farà nella sua storia, che la produttività era solo una simpatica burla, visto che casomai il problema è l’enorme sovraccapacità produttiva, altro che scarsa produttività. Il problema della Fiat è che può produrre troppo, che ha troppi stabilimenti rispetto alla domanda, che i suoi operai producono più auto di quelle che riescono a vendere, che insomma la soluzione a cui si tende, semmai, è licenziare altri lavoratori e chiudere altri stabilimenti. A questo proposito, il ceo Fiat ci rassicurava, dalle colonne dell’Herald Tribune, che in tutti questi anni non avevamo capito un cazzo della sua richiesta di produttività:
[serve] un piano coordinato a livello europeo per risolvere il problema dell’eccesso di capacità produttiva
Il futuro della Fiat è persino troppo chiaro. Primo, il trasferimento nei mercati a basso costo del lavoro (Sudamerica, Asia), lasciando la produzione dei mercati europei. Secondo, trasformarsi sempre più in un’azienda finanziaria e sempre meno industriale. In questo senso, la progressiva americanizzazione va proprio in questa direzione, e cioè quella di diminuire costantemente la sua presenza industriale per allargare progressivamente la sua sfera finanziaria.
La politica, in ogni caso, continua a rimanere assente, e l’unico dibattito possibile rimane quello interno alla presunta produttività mancante. Nonostante al sovraccapacità produttiva di tutto il sistema Italia (e di tutta Europa), la risposta dei padroni è il solito disco rotto: bisogna produrre di più a minor prezzo. L’obiettivo vero è un altro, e cioè dislocare tutto il dislocabile in Asia, est Europa e Sud America. Quelle in atto sono solo manfrine politiche, fumo negli occhi di chi ha già deciso quale sarà il modello produttivo del futuro.
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Per farsi un’idea, suggeriamo anche la lettura di queste due analisi socio-economiche sul declino Fiat
Marco Revelli sulla “svolta” marchionne