Militia chiama, il PD obbedisce: ecco dove porta lo sdoganamento revisionista sulle foibe
La storia del dito e della luna descrive ogni giorno di più gli umori politici di questo paese. Accigliati in profonde disquisizioni storiche, alcuni non riescono a vedere la foresta intorno a loro. In questo caso, l’utilizzo strumentale della storia e delle sue vicende più contraddittorie è uno degli strumenti per un intento politico più generale, quello cioè di giustificare o legittimare posizioni politiche. Nel caso specifico delle foibe, di legittimare le posizioni politiche di una destra nazionalista che fino a qualche anno fa veniva relegata ai margini del confronto pubblico, etichettata giustamente come fascista e razzista. Il cedimento culturale avvenuto sulla vicenda della foibe, come gli altri mille di questi anni (dal revisionismo resistenziale allo sdoganamento dei repubblichini, per rimanere a temi più prossimi e immediati), non è cioè disputa fra storici. Il dibattito non avviene cioè a livello accademico, ma a livello mediatico, e mira a influenzare l’opinione pubblica descrivendo sullo stesso piano e raccontando con la stessa ottica ogni esperienza politica in antitesi al modello liberale. I fatti avvenuti a Como in questi giorni confermano più che mai questa tendenza. Un sindaco del PD, in una giunta composta anche da Sel, revoca la concessione di una sala comunale all’ANPI e al locale Istituto di Storia Contemporanea. Il motivo è la presenza di Alessandra Kersevan, storica triestina da anni impegnata in lavori di ricerca sul fascismo di confine e le sue ripercussioni sulla società giuliano-dalmata. Perché Alessandra Kersevan da così tanto fastidio? Ovviamente perché fra i suoi lavori e nelle sue prese di parola pubbliche ha toccato l’argomento foibe, vero tabù per chiunque non si adegui alla retorica nazionalista. E toccando tale argomento, non si sarebbe allineata alle posizioni neoirredentiste di chi vorrebbe l’Istria terra – appunto – irredenta, italiana da sempre e vittima della pulizia etnica “slavocomunista” tra il ’43 e il ’47. Poco importa che il convegno parlasse d’altro, e in particolare dei campi di concentramento italiani nella Jugoslavia occupata, e più in generale della politica fascista di bonifica etnica operata nel ventennio in cui l’Istria era sotto dominio del Regno d’Italia. Alessandra Kersevan è un nome da cancellare, nella macabra lista di proscrizione operata dalle frange nazionaliste e appoggiata da tutte le forze democratiche.
In tutta questa vicenda, il fatto che l’input al sindaco “democratico” sia venuto da Militia, in fondo, poco importa. E’ solo la “perla” incastonata in un ragionamento più ampio, e che conferma in maniera lampante la subalternità culturale di tutte le forze politiche parlamentari alla visione del mondo nazionalista. Una vera e propria egemonia culturale prodotta in questi anni e che è diventata luogo comune. Le giustificazioni del sindaco chiariscono meglio di ogni altra cosa la resa politica: siccome la settimana scorsa il comune aveva vietato la sala per la celebrazione di un esponente nazista, allora non può essere concessa per un’iniziativa di carattere antifascista. Difficile aggiungere altro: le iniziative si equivalgono, i torti e le ragioni si confondono nei meandri della storia, e tutta l’esperienza del Novecento va chiusa in vista di un secolo in cui non ci può essere spazio per ipotesi di cambiamento radicale del modello di sviluppo. E’ il sindaco del PD che lo dice, e sono forze come Sel che lo appoggiano. Chiarendo una volta di più come gli starnazzamenti sulla vicenda foibe ed esodo siano solo un pretesto, uno strumento che torna utile a un processo politico più complessivo.