Musica d’avanguardia
Di fronte al potentissimo attacco che l’imperialismo ha messo in campo negli ultimi anni e che, negli ultimi mesi, trova il suo apice in Ucraina e a Gaza, abbiamo notato due vicende che ci hanno particolarmente colpito e, allo stesso tempo, fatto riflettere sul “nostro” stato di salute. Lo spunto della riflessione ci viene dal lavoro svolto in questi giorni da due dei gruppi musicali con i quali molti di noi sono cresciuti e, in parte, formati politicamente: la Banda Bassotti e i 99 Posse. Fino a qualche anno fa ci saremmo aspettati di vederli sostenere la lotta antimperialista attraverso dei concerti, prendendo posizione con qualche intervista, magari anche suonando nei cortei. Invece i primi si trovano ormai da mesi impegnati in prima fila nella faticosa controinformazione su ciò che sta accadendo in Ucraina e nella solidarietà attiva nei confronti degli antifascisti del Donbass, i secondi sono diventati una delle poche voci dalle quali attingere informazioni sulla resistenza palestinese. Onore a loro, ovviamente, ma il fatto che dei gruppi musicali, per i quali nutriamo rispetto e ammirazione, debbano farsi carico soggettivamente delle insufficienze del movimento di classe in Italia dovrebbe preoccupare non poco.
Con la graduale scomparsa del PCI prima, della sinistra radicale poi, rimane sul tavolo la sostanziale estrema marginalità di quei partitini sopravvissuti e il tanto variegato quanto sfilacciato e combattivo arcipelago di centri sociali, collettivi, organizzazioni di vario genere che, per quanto generoso, non pare in questo momento in grado di esercitare (con poche eccezioni) alcun tipo di egemonia su larghi settori di classe. Ci sarebbe da chiedersi come sia stato possibile essere arrivati a un punto di debolezza tale per cui sulle principali questioni internazionali due gruppi musicali debbano provare a “fare il lavoro” che sarebbe tipico di un’organizzazione politica di massa: lanciare presidi, scrivere comunicati, produrre e tradurre materiale informativo, raccogliere fondi, agire politicamente e tanto altro. Fare un salto di qualità diventa ogni giorno che passa un’urgenza non più rimandabile.
Nell’era in cui viviamo, ad esempio, non disporre più di nessun quotidiano a livello nazionale, di una televisione per piccola che sia, di un sito d’informazione che sappia parlare ai non “già militanti” impedisce una socializzazione adeguata, una formazione scarsa dei militanti stessi e provoca una grave assenza di egemonia all’interno della società. Il tutto si traduce in numeri scarsi, scarso peso politico, marginalità. Il tutto sommato a un “lavoro di massa” ancora in larga parte da inventare. Rimanendo sul nostro esempio basti vedere quanti pochi presidi siano stati fatti in sostegno all’Ucraina antifascista e con quali numeri, con quale fatica si arrivi a leggere in tempo le questioni internazionali. Per motivi storici va leggermente meglio la questione palestinese ma se la paragoniamo ai numeri di qualche anno fa c’è da mettersi le mani nei capelli. Non è solo il partito in quanto tale che manca ma l’idea stessa di classe organizzata. Non parliamo poi della centralizzazione delle scelte politiche che sarebbe troppo, si fa persino fatica a tenere un livello adeguato di coordinamento delle varie soggettività in lotta, il che implica nella maggior parte dei casi l’inefficacia. Proseguendo di questo passo, nel corso di qualche decennio dalla caduta del muro di Berlino, si rischia così di passare, passateci la battuta, dal socialismo in un solo paese al socialismo in un solo palazzo, se e quando ci si riesce. Un agglomerato, spesso informe, di organizzazioni locali indipendenti l’una dall’altra il cui legame si trova più a un livello spirituale che ideologico e che procede disordinatamente spesso e volentieri secondo il vento che tira.
Capire che questa condizione è un ostacolo da rimuovere significa permettere un salto di qualità. Dove disunione, tentennamenti e divisioni imperversano e si tende a ragionare esclusivamente con la logica dell’evento. Se ancora ci sono delle sacche di resistenza è unicamente grazie a gruppi di compagni capaci di guidare la classe a livello locale ma ci accorgiamo ogni giorno di come questo non basti. Fino a che esistevano ancora delle organizzazioni di massa di sinistra a fungere da centro gravitazionale con un suo humus da influenzare poteva anche avere un senso. Oggi senza neanche tentare una sintesi politica all’altezza si rischia di disperdere la lotta in mille rivoli piuttosto che lavorare per favorire la piena dirompente di un unico fiume.
Sostenere tutte le lotte parziali serve ed è molto importante ma non può essere inteso esclusivamente come il soddisfacimento materiale delle singole rivendicazioni. Le lotte parziali devono essere utilizzate per rendere palese che esse sono espressione di rapporti economico-sociali e politici generali e che la soluzione reale può essere raggiunta solo se le lotte isolate si unificano in una lotta politica generale contro tutto il sistema di potere. Le varie organizzazioni territoriali e locali sono indispensabili per fare un lavoro di massa, per unire nella lotta, per trasmettere le parole d’ordine, per interessare, risvegliare, attrarre ma non possono essere sufficienti per organizzare le forze che dovranno condurre direttamente la lotta. Le stesse articolazioni sociali come le polisportive, le palestre, i bar, le trattorie, le case, e così via funzionano come moltiplicatore se sono, appunto, articolazioni. Cioè se sono il pezzo di un progetto politico più alto e più grande. Altrimenti si capitalizza molto poco in termini politici e, alla fine della fiera, non ci si discosta più di tanto dal volontariato o dall’associazionismo puro e semplice.
E, almeno dal nostro punto di vista in questa fase la prima lotta di valore generale è la lotta contro l’Unione Europea, la seconda è contro il sistema capitalista nel suo complesso.
Ciò che sappiamo è che il marxismo vive solo nella misura in cui serve a cogliere e affrontare la concretezza delle situazioni specifiche, se funziona come una bussola per orientarsi nel groviglio dei fatti di questo nuovo secolo così complesso per tornare ad avere quella capacità di previsione indispensabile per immaginare un piano generale che sia in grado di dare alla classe parole d’ordine di lotta chiare e generalizzabili.
Non si è nulla se non si riesce a influenzare concretamente le masse poiché è solo così che si possono raggiungere gli obiettivi ma nessuna classe della storia ha vinto senza organizzare e dirigere il proprio movimento. E’ quindi importante trovare al più presto una forma politico-organizzativa in grado di coordinare le lotte sociali. Altrimenti la lotta economica in primis e tutte le altre lotte dietro di essa non potranno mai diventare una lotta di classe.
Il nostro piccolo contributo di sperimentazione politica, sicuramente parziale e insufficiente, proviamo a darlo con altri collettivi all’interno della rete nazionale Noi Saremo Tutto. Per partecipare o saperne di più qui è possibile leggere il nostro documento collettivo.