Nessuno ti rappresenta…vota Nessuno!!!
”La repubblica democratica è il migliore involucro politico possibile per il capitalismo; per questo il capitale, dopo essersi impadronito di questo involucro – che è il migliore – fonda il suo potere in modo talmente saldo, talmente sicuro, che nessun cambiamento, nè di persone, nè di istituzioni, nè di partiti nell’ambito della repubblica democratica borghese può scuoterlo.”
Lenin
La scelta di scrivere questo documento, frutto di un’osservazione dei cambiamenti che va avanti da tempo ormai, è di tentare per un momento di andare al di là della combattuta battaglia, tutta interna alla borghesia, che si sviluppa nello scontro Bersani – Monti – Berlusconi.
Negli ultimi anni la scoperta dei tanti scandali, tanti conflitti nella politica parlamentare che ormai quotidianamente colpiscono esponenti di destra e sinistra, sempre e comunque lasciati impuniti dalla legge borghese, hanno fatto sì che ogni anno il numero degli astenuti, alle elezioni, è aumentato, producendo un senso di disillusione nella popolazione e aprendo la strada ad un nuovo fenomeno, che vogliamo provare ad analizzare seppur superficialmente data la natura contenuta di questo documento, ovvero quello delle liste civiche. Nel corso degli ultimi tempi esse, partendo da un rifiuto degli attuali partiti ed esponenti politici, grazie a diversi personaggi ed associazioni si sono fatti largo in ampie fette di popolazione (ed elettorato) paventando la giustezza di una scelta antipolitica, termine quanto meno ambiguo, con il quale si vuole racchiudere il disprezzo per la “Casta” (l’attuale classe politica italiana) e il rifiuto degli “opposti estremismi” tra destra e sinistra, categorie di pensiero ormai superate.
Non si tratta assolutamente di un fenomeno nuovo, le liste civiche hanno da sempre garantito un bacino di voti a questa o quest’altra bandiera politica, quello che accade oggi non riguarda solo il protagonismo che le contraddistingue (si potrebbe citare il fenomeno De Magistris, solo per dare un esempio vicino a noi), ma anche una presentazione delle stesse come simbolo di pulizia, di movità, di uscita da un sistema cristalizzato da decenni e manovrato dalla “Casta”. Quest’impostazione ha portato alla nascita di indistinti calderoni ideologici nei quali sguazzano aderenti a qualunque corrente ideologica, o peggio ancora ambigue personalità impegnate a presentare programmi nebulosi che però , nel vuoto spinto della politica italiana, fanno presa sull’elettorato.
Proprio per questo proveremo a ragionare su quei movimenti che in questo momento hanno raggiunto maggiore risalto: non a caso è notizia delle ultime ore che Grillo ad esempio abbia raggiunto il 20% nelle proiezioni elettorali.
La scelta, dato che non intendiamo entrare, come dicevamo all’inizio, nelle pieghe dello scontro Bersani – Berlusconi – Monti, non è casuale: con questa piccola riflessione vorremmo rivolgerci in questa riflessione proprio a chi una decisione non l’ha presa già, ma risulta affascinato da queste cosiddette novità.
Chi ha paura di Beppe Grillo?!
“Il fascismo si è presentato come l’antipartito, ha aperto le porte a tutti i candidati, ha dato modo a una moltitudine incomposta di coprire con una vernice di idealità politiche vaghe e nebulose lo straripare selvaggio delle passioni, degli odii, dei desideri. Il fascismo è divenuto così un fatto di costume, si è identificato con la psicologia antisociale di alcuni strati del popolo italiano, non modificati ancora da una tradizione nuova, dalla scuola, dalla convivenza in uno Stato bene ordinato e amministrato”
Antonio Gramsci
l Movimento Cinque Stelle, capeggiato da Grillo e ormai entrato in politica da qualche anno, si presenta come l’antipolitica per eccellenza, attraverso dichiarazioni di trasparenza e sobrietà dei propri candidati.
Nelle 15 pagine del programma ufficiale (obiettivi raggiunti compresi) effettivamente, sembra quasi di trovarsi per alcuni versi di fronte ad un programma di sinistra: ad esempio si tenta di limitare i costi di sanità e grandi opere, di eliminare alcune delle leggi peggiorative del mercato del lavoro, ma ben presto si riconosce una evidente contraddizione tra i punti di programma. È poi totalmente inesistente un’indicazione di prospettiva generale, la ricerca cioè non dell’eliminazione di quanto di negativo in precedenza è stato prodotto, ma il raggiungimento di obiettivi di uguaglianza e parità di diritti, teoricamente alla base di un programma di sinistra.
Basti solo pensare alla questione dell’obiettivo da raggiungere del centro storico come isola pedonale in tutte le città, che si pone da un lato come la rappresentazione della via ecologica, attraverso il rafforzamento dei mezzi pubblici (cosa peraltro veramente improbabile data la condizione in cui versano le aziende destinate alla mobilità pubblica), ma che rappresenta anche un rafforzamento della gentrificazione delle città e di un sempre maggiore isolamento delle periferie. Cosa significa questo? Il potenziamento, nel cuore delle città, di servizi, trasporti, eventi mentre la periferia resta sempre più tagliata fuori da dinamiche che non siano quelle della costruzione di quartieri dormitorio in cui stipare i lavoratori, privandoli di ospedali facilmente raggiungibili, spostando tutti i servizi nei centri storici e depotenziando ampiamente le reti dei trasporti. Non bisogna andare lontano per comprendere gli effetti di queste politiche: a Napoli il sindaco arancione De Magistris ha creato un’estesa Ztl per “migliorare” il centro storico, disinteressandosi però totalmente alle sorti delle migliaia di passeggeri di Circumvesuviana e Cumana che sono da mesi di fatto isolati dal resto della città, a causa delle scellerate politiche della Regione in materia di trasporti.Anche con riferimento all’obiettivo dell’eliminazione della Legge Biagi, diventa quanto mai contradittorio questo punto al programma se paragonato poi con la realtà del licenziamento di un assessore di Mira, nel Veneto, perchè in maternità. Sempre a Mira, lo stesso giovanissimo sindaco del M5S ha negli ultimi mesi privato dell’acqua corrente e delle proprie abitazioni cinque famiglie di immigrati con bambini, bisognosi di alloggi popolari.
La mancanza di chiare parole d’ordine, di paletti in grado di determinare le scelte che il movimento assumerà nel corso del mandato parlamentare lasciano aperta per Grillo e i suoi la possibilità di strizzare l’occhio sia ai movimenti di lotta, che peraltro sembrano appoggiare seppur in minima parte il movimento Cinque Stelle, favorendo nei suoi confronti la loro indicazione di voto, ma anche nei confronti della destra sociale di Casapound.
Per quanto riguarda i primi, le promesse elettorali si trasformano in briciole per i movimenti e dal punto di vista della lotta pratica e false illusioni di vittoria. Pensiamo alla Tav: Grillo promette che non si farà, ma la contraddizione emerge nel comprendere tutto il resto, anche in relazione al fatto che la TAV rappresenta solo un esempio di come si sta speculando sulla pelle della gente.
Per quanto riguarda invece Casapound essa viene indicata da Grillo come un’occasione da cogliere, dopo la scelta dell’organizzazione di mettersi in gioco in prima persona, poiché attraverso il suo massimo rappresentante il Movimento Cinque Stelle dichiara:
“L’antifascismo non mi compete” (14 gennaio 2013)
formalizzando di fatto una connivenza con i fascisti avvenuta negli anni solo a livello locale.
Basti pensare a quanto accaduto lo scorso marzo a Bolzano il consigliere comunale Claudio Vedovelli, abbandonava la sala comunale in solidarietà con i militanti di Casapound, sostenendo:
“Escludere un gruppo di ragazzi che non solo hanno le carte in regola (regole che si è dato il Comune!) ma anche , fino ad ora, organizzato serate su temi diversi e interessanti, senza segni di apologia, solo perché si ritiene siano in contatto con gruppi neo o nuovi fascisti, ci pare sbagliato oltrechè rischioso!”
Peccato che anche in questo caso non si raccontasse che trattava dei fascisti del terzo millennio di Casapound, e gli si lasciava il beneficio del dubbio, favorendone così l’espansione in città.
Ma l’idea che l’esternazione di Grillo possa essere una mossa estemporanea viene immediatamente eliminata, tante sono le ulteriori dichiarazioni e “manifestazioni d’affetto” tra il candidato premier e il candidato alla regione Lazio: “Destra e sinistra sono uguali” (Globalist.it 10 gennaio 2013) la dichiarazione di Grillo nei primi giorni di gennaio, quando gli si chiedeva come si sarebbe schierato il suo movimento. Successivamente afferma:
“«In Parlamento meglio CasaPound che Monti»: così Beppe Grillo ha risposto ad alcuni militanti di Cpi che lo hanno avvicinato mentre erano in fila davanti al Viminale per depositare il simbolo del movimento in previsione dell’apertura degli uffici elettorali prevista per domani alle 8. (dal sito casapounditalia.org del 10 gennaio 2013).
Anche la naturalezza con la quale Grillo si lascia a queste affermazioni è frutto di un populismo e di una natura del movimento stesso che converge tutto il potere mediatico e decisionale nelle mani del suo leader e lascia un margine di variazione rispetto alla sua parola pari a zero (trovando in questo senso una similitudine quanto mai diretta con Casapound) che punta ad affascinare senza raggiungere nel profondo nessun argomento, attraverso i comizi con le folle inneggianti e una quasi totale assenza invece nelle apparizioni televisive, dando così l’idea dell’esistenza attiva e costante di un seguito al candidato premier. Per poi trovarsi su di un palco e riuscire a dichiarare candidamente che gli immigrati andrebbero presi a calci, o ancora, come da una sua dichiarazione sempre del gennaio 2013, che:
“La cittadinanza a chi nasce in Italia, anche se i genitori non ne dispongono, è senza senso.
O meglio un senso lo ha, distrarre gli italiani e trasformarli in tifosi”.
Sarebbe davvero incredibile credere che debba essere un’agitazione da palcoscenico di un ex comico a scuotere gli elettori, in un moto del tutto estemporaneo e privo di ogni coscienza, eppure in queste ultime ore di accessisima campagna elettorale, le piazze dei grillini sono piene.
Casapound
“E’ la tua rabbia che cambierà questo paese. Ora che riesci a vedere anche tu la disperazione del tuo popolo e della tua nazione piegata ai ricatti di banche ,mercati, e finanza devi sapere che esiste un movimento fatto di giovani volontari e uomini e donne che hanno grandi idee e la tua stessa voglia di combattere.”
Con queste parole si presenta il nuovo candidato a governatore del Lazio per Casapound Italia; per tutti coloro ormai stanchi dei soliti partiti elettorali, potrebbe sembrare di sentirsi finalmente capiti da qualcuno che probabilmente sente una reale necessità di cambiamento. Con il suo immaginario fatto di ribellione, forte senso della comunità e dell’identità ci ritroviamo, con Casapound Italia, di fronte ad un altro vessillo dell’antipolitica italiana, che sbandierando la comoda e avvolgente bandiera dell’anticonformismo, in realtà insinua ragionamenti politici estremamente consapevoli, razzisti, omofobi e sessisti in ogni azione, vertenza e pensiero.
Dopo aver cercato di inserirsi nello scenario elettorale italiano per anni appoggiando il PDL , ed essendo riusciti in questo modo addirittura ad avere ben 1 milione di euro stanziati dal sindaco uscente di Roma Alemanno, noto simpatizzante dell’associazione liquidato all’alba di queste elezioni sebbene il figlio continui ad essere uno dei maggiori esponenti di Blocco Studentesco (parte studentesca di Cpi),l’organizzazione neofascista scende in campo con canditature in tutte le città italiane.
Ma come inquadrare CPI nell’attuale scenario politico elettorale?
I membri di Cpi, pur dichiarandosi aderenti ad una organizzazione orizzontale di pari, più e più volte hanno rimandato giornalisti e curiosi in cerca di informazioni sull’associazione ai “responsabili nazionali” che, sapientemente, hanno rilasciato dichiarazioni di intenti prive di paletti politici, nebulose e di difficile interpretazione, segnale di una ben delineata strategia comunicativa che doveva nell’ottica di questa tornata elettorale distogliere l’attenzione dalla forte identità fascista senza però mai rinnegarla, allo scopo di allargare il più possibile la presa elettorale. Questa strategia riesce ad attirare anche giovani e meno giovani che negli ultimi anni hanno perso fiducia nella sinistra istituzionale, in un Paese sempre più orientato verso il rifiuto di un reale ragionamento politico. Un semplice ma non sottovalutabile depotenziare la carica ideologica dell’organizzazione rendendo più sfumati i riferimenti e le idee in cui le radici di CPI affondano.
Ma cosa dice di voler ottenere, realmente, Casapound? Il portavoce principale, candidato per la Regione Lazio, è Simone Di Stefano: nato e cresciuto a Garbatella, quartiere popolare di Roma , militante politico dall’età di 16 anni del Movimento Sociale Italiano, partito nato originariamente con lo scopo di portare avanti l’eredità di Salò e del vero fascismo. Dal MSI Di Stefano esce nel ’94 dopo la svolta di Fiuggi che porta alla nascita di Alleanza Nazionale; la scelta non è casuale, visto che è il momento in cui c’è un importante allontanamento dalla natura originaria dell’MSI senza rinnegare l’eredità fascista ma discostandosi quel tanto che basta per assicurarsi nel gioco della politica italiana un peso e una agibilità maggiore.
Successivamente è proprio Di Stefano uno dei fondatori di Casapound Italia. Rispetto ad una probabile alleanza con Grillo e il suo Movimento 5 Stelle, cercata da entrambi, Di Stefano dichiara:
“[.. ] Non sarebbe un’alleanza politica, ma una scelta di buon senso civile[…]
“[…]Con Grillo ci siamo trovati d’accordo su molti aspetti , come la partecipazione dello Stato nell’economia , la nazionalizzazione delle fonti energetiche , il Mutuo Sociale , costruzione di nuove case e quartieri a misura d’uomo come quello romano della Garbatella.”
Il collegamento con le istituzioni si struttura in una serie di battaglie portate avanti sotto forma di proposte di legge. Quella principale è il Mutuo Sociale, che si ispira al principio di assicurare il diritto alla proprietà della casa, rifacendosi a due articoli del Manifesto di Verona che definisce i punti principali della politica del Partito Fascista Repubblicano. La proposta intende assicurare ai cittadini che ne hanno bisogno l’acquisto della casa popolare a tassi agevolati, senza più dover pagare l’affitto allo Stato. Ma chi può però usufruire realmente del tanto paventato Mutuo Sociale?
“[…]sono idonee e beneficiarie solo famiglie con cittadinanza italiana e residenti da almeno 5 anni nella regione[…]” .
Il diritto alla proprietà della casa diviene così appannaggio esclusivo dei cittadini italiani!
Il razzismo di Cpi è giustificato con il rifiuto della globalizzazione e della società multirazziale; in virtù di questo rifiuto, l’immigrazione viene vista come arma utilizzata contro il popolo italiano e fallimento degli Stati nazionali nella tutela dei diritti dei propri cittadini e al contempo l’immigrato considerato vittima all’interno di un sistema economico simile ad un circolo vizioso, in cui l’accoglienza prestata a chi fugge dal proprio paese non è altro che un ulteriore tassello di un inarrestabile processo di sfruttamento. Un vero e proprio riproporsi di tesi già opportunisticamente espresse dalla destra storica (Pino Rauti in primis) ed istituzionale e che conosciamo molto bene: chiusura delle frontiere, espulsione di tutti gli immigrati clandestini , priorità nelle politiche sociali ai cittadini italiani.
Questo, molto in breve, sull’immigrazione. Circa invece il rapporto con le istituzioni, l’associazione chiarisce che:
“Cpi ha militanti, sostenitori e amici che operano nella politica istituzionale, nell’ufficialità culturale, nelle associazioni che determinano la vita sociale della nazione. Non è un gruppo di reietti sediziosi, di pazzi terroristi, di teste calde in cerca di bravate.”
Al di là degli appoggi politici e dei ghiotti finanziamenti di cui Cpi è dalla sua nascita beneficiaria, sono decine e decine gli episodi susseguitisi negli ultimi anni che hanno visto i “fascisti del terzo millennio” impegnati in aggressioni e pestaggi a danno degli avversari politici.A partire dai violenti scontri del 29 ottobre 2008 a piazza Navona a Roma, in cui studenti della parte studentesca di CPI con mazze tricolori caricano violentemente una parte del corteo che sfilava contro la legge Gelmini, al 28 aprile 2009 a Napoli davanti alla facoltà di Lettere e Filosofia quando studenti appartenenti a vari collettivi studenteschi vengono aggrediti da alcuni neofascisti e nella colluttazione che segue riportano ferite da armi da taglio o ancora alle aggressioni a Roma nel maggio del 2011 ad alcuni ragazzi del collettivo Senza Tregua alle quali seguono dichiarazioni a caldo dei neofascisti che paragonano gli “infami ai loro nonni partigiani”, passando per il fatto di cronaca che ha più scosso il paese: l’omicidio, da parte di un aderente toscano dell’associazione, Gianluca Casseri, di tre senegalesi a Firenze del dicembre del 2011 fino ad arrivare agli eclatanti provvedimenti cautelari emessi dal Gip nei confronti di 9 esponenti neofascisti dello scorso mese, con accuse che riguardano
“Antisemitismo, di banda armata, detenzione e porto illegale di armi e materiale esplosivo, lesioni, aggressione a pubblico ufficiale e riunione non autorizzata in luogo pubblico, progettazione e realizzazione di attentati con lancio di bottiglie incendiarie contro un centro sociale di Napoli, manifestazioni non autorizzate presso la Facoltà di Lettere a Napoli, aggressioni di tipo «squadrista» contro avversari politici e sistematico indottrinamento di giovani militanti all’odio etnico e all’antisemitismo.”
Ad essere colpiti sono nomi ben noti, soprattutto nella realtà napoletana, più volte intervistati dalle maggiori testate cittadine: Emanuela Florino, candidata alla Camera per CPI già coordinatrice regionale, Andrea Coppola, Giuseppe Savuto anche lui candidato alla Camera ed Enrico Tarantino, tra gli altri.
Pur ritenendo che i tempi siano ancora prematuri per una lettura delle reali motivazioni che hanno portato a questo attacco repressivo (fermo restando che attualmente gli indagati sono tutti agli arresti domiciliari tranne Tarantino, misura che, per degli esponenti di sinistra, i pm avrebbero trovato quanto meno ridicola), ci sono da considerare sicuramente due conseguenze: in primis, il grosso impatto mediatico che ha avuto questa vicenda, con una sostanziale condanna, ipocrita quanto tardiva, da parte di esponenti di ogni colore circa la condotta dei fascisti del terzo millennio: dopo anni in cui studenti, lavoratori e disoccupati in città hanno portato avanti una quotidiana lotta antifascista, fa sorridere lo sdegno che ha causato qualche intercettazione telefonica, ben più di accoltellamenti e aggressioni negli anni precedenti. Dall’altro lato c’è stato uno strenuo tentativo, abbastanza prevedibile da parte di Cpi, di isolare alcuni tra i denunciati, affermando con forza che essi non facevano più parte di Casapound Napoli, Tarantino in primis. Michele Florino, senatore della Destra, noto per le violenze e gli omicidi che ha organizzato negli anni ’70 (come quello di Iolanda Palladino) nonché indagato (e poi prosciolto) per i legami con il clan Misso, è il fiero padre di Emmanuela e Gaia, attiviste all’interno di Cpi; la seconda, tra l’altro, è stata lungamente fidanzata con lo stesso Tarantino, che ora Florino dichiara di non conoscere quasi e, una voce con Iannone, rinnega l’appartenenza dello stesso all’associazione neofascista.
Oltre al fatto che, a voler essere pignoli, la sede del MSI intercettata a Via Foria risulta, sul sito di Cpi, sede ufficiale di Casapound Napoli, a render ancora più eclatante e aberrante la linea strategica di scissione interna è proprio un’intercettazione resa pubblica in questi ultimi giorni dai Ros in cui Enrico Tarantino ed Emmanuela Florino si adoperano per costruire una rete di appoggio alla manifestazione tra rappresentanti istituzionali del centro destra nel caso in cui il sindaco De Magistris a Napoli si opponesse ad una manifestazione in programma due anni fa (cui gli antifascisti napoletani risposero compattamente, di fatto ridicolizzando il presidio dei neofascisti) . Tarantino racconta di aver avuto un incontro con il vice presidente della Provincia di Napoli Luigi Rispoli del Pdl, ed invita Emmanuela Florino a fissare attraverso la madre un incontro con Luciano Schifone, consigliere regionale sempre del Pdl. I due dimostrano di avere non solo un indiscussa relazione politica tra loro ma anche una forte relazione con il partito di Berlusconi, contrattando tra loro su quante tessere elettorali assicurare ai vari esponenti napoletani per assicurarsi protezione ed appoggio in Comune.
La finta ribellione dei casapoundini, la novità che essi vorrebbero rappresentare si scontrano dunque prima con la loro intrinseca natura di fascisti ed in secondo luogo con i legami, il supporto e i finanziamenti che ricevono dai principali partiti di centro ed estrema destra. La velocità con cui Cpi abbandona i propri militanti in difficoltà, poi, la dice lunga sul livello d’infamia che questi personaggi, i quali si sperticano in lungo e in largo a parlare di onore, rispetto e tradizione, e ben dimostra come essi non siano altro che vili servi dei padroni e di quel sistema politico che affermano di voler ribaltare.
A chi ci chiede di essere “democratici”, di rispettare le altrui opinioni, oltre a ricordare che la Storia il fascismo l’ha già condannato, rispondiamo adoperando le parole di Gramsci:
“Quando discuti con un avversario,prova a metterti nei suoi panni. Lo comprenderai meglio e forse ti accorgerai che ha un po’ o molto ragione.
Ho seguito per qualche tempo questo consiglio dei saggi. Ma i panni dei miei avversari erano così sudici che ho concluso:è meglio essere ingiusto qualche volta che provare di nuovo questo schifo che fa svenire.”
La Rivoluzione non è un pranzo di gala…
Ci hanno insegnato la meraviglia
verso la gente che ruba il pane
ora sappiamo che è un delitto il non rubare
quando si ha fame…
Spunta, in questa tornata elettorale, la lista Rivoluzione Civile, con a capo Antonio Ingroia, storico magistrato antimafia, il quale replica esperimenti già tentati da Antonio Di Pietro con l’Italia dei Valori (ora all’interno delle sue liste) e Luigi De Magistris (idem). Si tratta di un tentativo di ripristinare le usuali parole d’ordine del centro sinistra (rispetto dei lavoratori, autonomia dello Stato dalla Chiesa, tutela della Sanità e dell’Istruzione pubblica) inserendole in una cornice di lotta alla corruzione (la onnipresente “Casta”), alla mafia, ai reati finanziari, ai reati contro l’ambiente. Ingroia candida nelle sue liste una serie di personaggi-simbolo, operai, sindacalisti, aderenti al Coordinamento Precari Scuola nonché l’emblea per eccellenza della violenza di Stato: Ilaria Cucchi, sorella del giovane Stefano ucciso a botte dai secondini mentre era in stato di arresto, impegnata nella battaglia per il riconoscimento delle responsabilità dei poliziotti nella morte del fratello. Sembra paradossale, però, la canditatura per lo stesso candidato di Di Pietro, il cui figlio è stato indagato proprio per corruzione e che è, da sempre strenuo oppositore dell’introduzione di un codice identificativo VISIBILE per gli agenti di Polizia o di Claudio Giardullo, dirigente e sindacalista delle Forze di Polizia. La capacità di Ingroia di individuare il collegamento tra Stato e malavita si infrange su una strenua fiducia nelle istituzioni borghesi, in quelle stesse forze dell’ordine che reprimono, nel sangue e nelle galere, le lotte dei compagni, le vite di tutti i detenuti, degli immigrati e così via. Agli occhi di migliaia di militanti antifascisti, No Tav, che combattono nelle Università, sui luoghi di lavoro e nei quartieri, Ingroia appare come l’ennesimo portatore di una legalità che non potrà mai combaciare con una reale giustizia sociale. Nonostante Rivoluzione Civile si ponga come obiettivo una riforma delle carceri volta a svuotare le prigioni italiane, ormai sature di detenuti per la stragrande maggioranza per immigrazione clandestina o piccoli reati, Ingroia resta uno strenuo difensore di uno dei metodi di detenzione più inumani dell’intero pianeta, per il quale l’Italia è stata più volte criticata, anche dagli Stati Uniti che coi detenuti, si sa, non hanno la mano leggera: il 41bis. Questa forma di regime carcerario, che travalica il carcere duro per giungere a delle condizioni di tortura ed isolamento dei prigionieri, era nato con l’intento di recidere completamente i legami tra i boss di Cosa Nostra e i propri affiliati, riuscendo essi a dare ordini anche dall’interno delle prigioni. Nel corso degli anni, il periodo inizialmente indicato per il 41 bis (sei mesi) è stato allungato e continuamente reiterato, con il risultato che molti detenuti vivono in regime di 41 bis da decine di anni, con conseguenti danni alla salute fisica e mentale.Inoltre è bastato pochissimo per allargare a macchia d’olio l’utilizzo del 41bis anche ai detenuti indagati per terrorismo (soprattutto italiani ma anche tanti immigrati) e reati politici, creando per loro delle condizioni di vita e prigionia insostenibili; i detenuti in regime di 41 bis, infatti, scontano la pena in ali separate del carcere, in isolamento. Il sistema di sbarre alle finestre è estramemente più fitto, impedendo il ricambio di aria e luce nella cella;il “passeggio”, l’ora destinata a camminare, conversare con altri detenuti, semplicemente guardare un pezzetto di sole, avviene in solitudine in una sorta di corridoio stretto con muri alti fino a tre metri, chiusi poi da una fitta inferriata che nasconde il cielo. I colloqui con i familiari, ridotti al minimo (una visita al mese) si svolgono in minuscole stanzette con vetri divisori alti fino al soffitto e con la possibilità di parlare solo attraverso un citofono. I sanitari sono nella stessa minuscola cella in cui il detenuto vive in isolamento ed in cui non può cucinarsi da sé né tenere un numero elevato di fotografie dei familiari, libri, carta o penne…al detenuto è inoltre preclusa la possibilità di studiare, lavorare o svolgere qualsiasi attività; sono facilmente comprensibili le condizioni di barbarie in cui questo regime getta il carcerato, che però ha una possibilità di liberarsi dalla gogna del 41bis: la collaborazione con lo Stato, in poche parole, il pentitismo. La natura del 41 bis si spiega quindi abbastanza facilmente con questo meccanismo: questo regime di carcere è al tempo stesso un deterrente per tutti i detenuti e una spinta a “collaborare con la giustizia”: in poche parole, per quel che riguarda i detenuti che hanno commesso reati politici, a barattare la propria sanità fisica e mentale con la vita e la libertà dei propri compagni di lotta. Rispetto ad Ingroia, che auspica un ritorno “alle orgini” del 41bis ed un utilizzo limitato ai soli mafiosi (fonte: il giornale “Gli Altri”), ci sentiamo fortemente in disaccordo: senza entrare in un ragionamento più ampio sulle carceri in questa sede e limitandoci alla questione del 41bis, siamo fermamente convinti che questo tipo di regime non debba essere applicato a NESSUN detenuto, senza eccezioni, trattandosi di una forma di tortura vera e propria, che sicuramente non risolve alla radice il problema della criminalità organizzata, i cui finanziatori vanno cercati nei padroni, nei grandi industriali, negli esponenti politici di ogni colore al governo di questo paese. Inoltre non è da sottovalutare che solo pochi mesi fa, a ridosso delle sentenze per i devastanti pestaggi avvenuti nella scuola Diaz nel 2001, durante il G8, Ingroia abbia dichiarato:
“La legge va applicata anche nei confronti degli uomini migliori, ma la solidarietà dell’ex Capo della polizia nei confronti dei suoi è normale e comprensibile. Non la trovo inopportuna. Gli uomini condannati sono persone valide, ne ho conosciuti alcuni anch’io”.
Parliamo degli stessi uomini che hanno scritto una delle più vergognose pagine della storia del Paese, massacrando con inaudita violenza manifestanti accorsi da tutto il mondo per contestare il G8; il tutto, a pochi giorni dal brutale omicidio in piazza di Carlo Giuliani. L’ex capo della polizia cui Ingroia fa riferimento è Giovanni De Gennaro, che all’epoca ha diretto la Celere nelle cariche e nelle violenze di Genova e che ha poi fatto, sul sangue di chi ha vissuto quelle giornate, una brillante carriera: da capo del gabinetto del e Commissario per l’Emergenza rifiuti in Campania, nel 2008 è stato poi nominato direttore del Dipartimento per le Informazioni per la Sicurezza. Per finire il bellezza, nel maggio 2012 cessa dall’incarico e viene nominato sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri del governo Monti.
Non a caso, come accennato, Ingroia candida nelle proprie liste Claudio Giardullo, segretario nazionale del sindacato della Polizia, il quale si definisce un poliziotto di sinistra, democratico, favorevole all’introduzione del reato di tortura; è lo stesso però che afferma che da Genova ad oggi la situazione italiana circa le violenze di Stato è migliorata, che i poliziotti sono stati formati ed “educati”, non pensando o non volendo pensare a tutti gli omicidi di Stato che si sono susseguiti negli ultimi anni (Giuseppe Uva e Stefano Cucchi tra i tanti), alle cariche indiscriminate a Terzigno, come agli operai che ogni giorno perdono il posto di lavoro, agli studenti e ai disoccupati che lottano per un futuro migliore e degno, agli attivisti No Tav costantemente repressi, sia fisicamente che legalmente. Lo stesso Giardullo, proprio come Di Pietro, è inoltre contrario all’introduzione del numero identificativo per i poliziotti: una misura già adottata in molti paesi europei per tutelare i cittadini vittime di abusi e soprusi, che possono in questo modo “identificare” i propri aguzzini e chiedere giustizia, ma che qui in Italia non è auspicabile in quanto
“Non credo sia uno strumento idoneo perché può mettere in pericolo gli operatori di polizia che svolgono bene il proprio mestiere. Con l’identificazione alfanumerica potrebbero rischiare, in situazioni di scontri o forti tensioni di piazza, di essere oggetto di particolare attenzione da parte dei gruppi violenti.”
Il ragionamento, come sempre, si ribalta; ma d’altronde è da sempre che, esplicitamente o attraverso una fiducia con i paraocchi data alle forze dell’ordine, si distinguono due tipi di violenza: quella scorretta e antidemocratica propria di chi lotta per migliorare le proprie condizioni e quella, legale e legittima, che le forze dell’ordine usano contro manifestanti, immigrati, o anche semplici cittadini e cittadine. Due pesi e due misure, ed ovviamente due tipi di legalità, ma di giustizia neanche l’ombra. Non possiamo che schierarci contro chi auspica la creazione di uno Stato di polizia ammantato da una finta democrazia; non è attraverso l’ultralegalità di un paese che non ci rappresenta che la crisi verrà abbattuta e le condizioni di vita potranno migliorare. Ad una Rivoluzione “Civile”, purtroppo per Ingroia, continuiamo a preferire una Rivo