Non si uccidono così anche i cavalli?
Il 20 marzo scadranno 14,5 miliardi di titoli del debito pubblico greco che al momento Atene non è in grado di onorare e allora il default potrebbe diventare un’ipotesi molto, molto concreta. A meno che Bruxelles non decida di sbloccare un piano di “aiuti” da 130 miliardi di euro. In cambio però l’eurogruppo pretende un ulteriore giro di vite sulle condizioni di vita di milioni di lavoratori greci: diminuzione delle pensioni, taglio del 20% dei salari minimi, 15 mila licenziamenti nel settore pubblico, nuove privatizzazioni. Una “cura”, quella imposta da BCE, UE e FMI, che finirà con l’ammazzare il paziente; e non potrebbe essere altrimenti visto che la soluzione indicata da questi “figli di Troika” coincide con la malattia. Nel 2007 in Grecia il rapporto tra debito e PIL era pari al 94,8%, la recessione del biennio successivo ha sicuramente aggravato la situazione provocando la caduta delle entrate in bilancio e smascherando i magheggi del governo Karamanlis, ma le misure di austerity applicate nel 2011 ci hanno sicuramente messo sopra il carico da undici. E non era poi così difficile da prevedere: come insegnano anche alle elementari se in una frazione il denominatore cala più velocemente del numeratore il quoziente cresce. Così nel 2011 il PIL greco è crollato del 5,5%, il rapporto debito/PIL è salito al 159,1% e per il 2012 le previsioni puntano al 180%. Ma come hanno imparato sulla propria pelle i lavoratori dove c’è il danno c’è anche la beffa… E già, perchè gran parte di quei titoli che oggi Atene non riesce a saldare sono proprio nelle mani di chi adesso detta le condizioni per il prestito e che in passato ha contribuito a far lievitare il debito greco “suggerendo” ingenti spese militari. In una qualsiasi strada di Roma una situazione del genere verrebbe definita strozzinaggio, ma a Bruxelles viene detta “libero mercato”.