Perché le banche sono un falso problema…
Partiamo dal principio, cercando di essere il più chiari e sintetici possibile. Allora, il mercato, il tanto osannato e inattaccabile mercato, prevede una domanda e un’offerta. Ancor più semplicemente, prevede una parte che produce beni, ed un’altra che li acquista, che compera questi beni. Sia che si tratti di beni materiali, sia che si tratti di servizi, nel sistema economico attuale c’è sempre questo processo di scambio fra chi produce e chi acquista. Le imprese (pubbliche o private) producono beni destinati ad un mercato che poi li dovrà assorbire. Nel sistema capitalistico odierno in generale chi produce è lo stesso soggetto che poi acquista, e quindi il lavoratore dapprima produce i beni (materiali o immateriali), per poi divenire consumatore ed acquistare quello che lavoratori come lui hanno prodotto.
Finita la seconda guerra mondiale il mondo occidentale ha visto una sviluppo economico inatteso e dirompente, e per più di trenta lunghi anni il reddito pro capite delle nazioni occidentali ha segnato un costante incremento (benessere basato sullo sfruttamento del lavoro salariato nei paesi occidentali e delle risorse dei paesi in via di sviluppo prima, sui lavoratori migranti oggi). Questo ha permesso ai cittadini, divenuti consumatori, di migliorare la loro qualità della vita, permettendosi sempre più alti livelli di spesa e di acquisto. Dalla fine degli anni 70’ in poi il trend generale si è prima lentamente fermato, poi si è addirittura invertito. Le retribuzioni, (salari e stipendi) di ogni forma di lavoro pubblico o privato hanno iniziato a scendere, non riuscendo più a tenere il passo dell’inflazione. In Italia tutto questo è stato sancito dall’abbattimento della scala mobile, vera e propria controrivoluzione industriale che si è ripresa quello che anni di lotte operaie avevano strappato ai padroni negli anni settanta.
Il punto, però, è un altro. Dopo anni di eccedenza, il sistema economico, con i suoi apparati ideologici di regime, aveva prodotto una stile di vita, una way of life, basata sul consumo ad oltranza. I cittadini esistono in quanto consumatori, in quanto acquirenti. La cultura occidentale ha prodotto questa sorta di ideologia dominante per cui tanto più conti nella società quanto più puoi spendere. Nessun altro valore ha importanza quanto il reddito pro capite, vero metro con cui misurare il valore sociale delle persone. Il problema è che dagli anni novanta in poi la gente non poteva più permettersi quello stile di vita. La casa sempre più grande, due o tre macchine a famiglia, il viaggetto all’estero in estate, la settimana bianca in inverno, le varie spese voluttuarie quotidiane, erano ormai entrate nel modo di vivere degli occidentali. Non potendosi più permettere tutto questo, ma succubi comunque di uno stile di vita ormai assunto e dato per assodato, (pago, spendo, pretendo, si sarebbe detto in Italia qualche tempo fa…) i cittadini hanno iniziato a chiedere sempre più prestiti (o mutui) alle banche, pur di garantirsi uno stile di vita che l’economia quotidiana non poteva più permettersi. Dapprima in America, dove le conquiste sociali erano inferiori, poi lentamente in Europa dove l’erosione dei salari incontrava più difficoltà viste le battaglie lavorative ancora forti, il ricorso ai prestiti bancari è dilagato. Quindi si è passati da un economia produzione-consumo fondata su redditi reali ad un basata su un consumo non più agganciato alle reali retribuzioni dei lavoratori, ma poggiata sui prestiti bancari. Tutto questo non ha scalfito il mercato, che continuava ad assorbire attraverso i prestiti bancari tutto ciò che veniva prodotto. Quindi il binomio produzione-consumo ancora reggeva, seppure non più basato su una reale capacità di spesa degli acquirenti ma basato su una moltiplicazione virtuale delle riserve delle banche.
Sempre in America, vero epicentro in questo senso della crisi attuale, è stato poi raggiunto un ulteriore traguardo di questo processo degenerante. E cioè le banche, anche di fronte ad una chiara incapacità del debitore di fare fronte ai propri debiti, hanno continuato a concedere prestiti (o mutui). Le retribuzioni, ormai completamente sganciate dal livello dell’inflazione, non potevano più mantenere quel livello di vita, anche fosse finanziato dalla banche. Ma questo non era un problema, visto che le banche, nel concedere prestiti, aumentavano il proprio capitale virtuale, erano quindi spinte nel farlo. Ad esempio, se una banca ha mille euro di riserva e ne presta cento, non rimangono 900 euro in cassa come logicamente immaginabile, ma la mia riserva è divenuta mille e cento euro. Con questo discorso, le banche hanno continuato a concedere prestiti ad oltranza, non interessate troppo alla reale solvibilità dei propri debitori, ma guardando piuttosto al capitale virtuale che cresceva esponenzialmente. Questo ha prodotto quelli che vengono chiamati “derivati”, e cioè dei crediti virtuali messi dalle banche fra i profitti delle stesse, ma in realtà basati sul nulla.
Ora, un mercato finanziario è basato anche e soprattutto sulla fiducia. Se la fiducia tiene, il cittadino non ha motivo di credere che nella propria banca di quello che ha depositato realmente non ne è rimasto più niente. La crisi dei mutui subprime ha fatto il resto. Crollata la fiducia, si è scoperto che a fronte di una enorme capitalizzazione economica e finanziaria, nulla di reale era presente nelle banche.
Da questa introduzione si possono capire abbastanza bene alcune cose, da tenere bene a mente quando leggiamo di crisi che non è economica ma finanziaria. Innanzitutto, le retribuzioni dei lavoratori sono andate incontro ad un impoverimento senza precedenti. Questo perché, una volta saturato il mercato negli anni 70’, la ristrutturazione industriale (insieme alla repressione) ha spezzo le gambe a chi lottava nelle fabbriche, e il rapporto di forza è andato a tutto vantaggio dei padroni. Non più tenuti a garantire un livello accettabile di vita ai propri lavoratori, lentamente ma inesorabilmente, dagli anni ottanta le retribuzioni di ogni categoria hanno iniziato a scendere. Lo stile di vita che si era imposto, basato sul consumo ad oltranza, ha prodotto sempre più richieste di prestiti, prima basati sulla retribuzione, poi via via sempre più sganciati da essa fino a divenire completamente virtuale. E quindi, il debitori non potevano più pagare alle banche il prestito, visto che nel portafoglio reale non era rimasto più niente. Lentamente questo ha prodotto e sta producendo un calo dei consumi, e quindi un calo della produzione. Questo calo della produzione lentamente si riverbererà sull’occupazione. Se i consumatori non comprano, se il mercato cioè non riesce ad assorbire quanto prodotto, bisognerà produrre di meno, e quindi inizieranno (sono già iniziati) i licenziamenti e le ristrutturazioni industriali-aziendali. Tutto questo per esprimere dei concetti abbastanza chiari:
-la crisi è reale perché parte dall’economia reale, e cioè dall’incapacità dei cittadini di fare fronte alle spese quotidiane.
-è una crisi di lungo corso, strisciante, che negli ultimi due anni ha avuto il suo boom per l’esplosione della bolla speculativa dei mutui subprime, ma la tendenza era già in atto da venti e più anni, ed era chiaro che finiva così.
-è una crisi da sovrapproduzione, perché ci sono nel mercato più beni di quelli che il mercato stesso può assorbire.
-il mercato non riesce più ad assorbire i beni perché i cittadini non hanno più i soldi necessari a fare fronte alle spese quotidiane, visto il lungo processo di erosione delle retribuzioni.
Questi quattro punti riassumono il concetto che il problema della crisi non sono le banche, che sono un falso obiettivo e tutt’al più fanno il loro lavoro da brave imprese private, e cioè chiedono fondi ai governi per salvarle. Il problema sta nei governi e nell’economia. Dopo aver impoverito milioni di lavoratori, si stanno regalando i soldi alle banche e facendo pagare il tutto ai contribuenti, e cioè ai lavoratori stessi, e in particolar modo ai lavoratori salariati e stipendiati, gli unici che davvero e sicuramente pagano le tasse che stanno andando a finire alle banche stesse.
Ultimo, le banche non sono l’obiettivo perché colpendo le banche si fa credere che la colpa sia la crisi finanziaria, contrapposta invece ad una sana economia reale. No, la crisi è reale e la colpa sta nei padroni pubblici e privati che hanno impoverito i lavoratori, costretti poi a chiedere prestiti alle banche per potersi mantenere un livello di vita criticato dagli stessi che prima l’avevano imposto
L’obiettivo, in sintesi, sono i governi e le imprese, che dopo aver impoverito i lavoratori per trarre sempre più profitto adesso stanno scaricando il costo della crisi sui lavoratori, usando come specchietto per le allodole le banche quali esempi di economia finanziaria cattiva contrapposta all’economia buona, quella industriale. Non facciamoci abbindolare, noi sappiamo chi è che pagherà caro…