Piccola postilla sul boicottaggio mediatico del mondiale brasiliano, a tre mesi di distanza
Tre mesi fa provavamo a mettere in discussione la bontà dell’internazionalismo “mordi e fuggi”, dei boicottaggi sponsorizzati da Repubblica, degli innamoramenti inconsapevoli e incoscienti portati avanti solo nella meta-realtà di Twitter o Facebook (qui). Una discussione che non riguardava lo specifico delle proteste brasiliane, per quanto ne sappiamo legittime ma che andavano inquadrate anche nell’ambito di uno sviluppo sociale del Brasile che ha creato una piccola borghesia insoddisfatta (giustamente) delle condizioni ancora arretrate del panorama politico, istituzionale ed economico del paese latinoamericano. Una piccola borghesia interessata più al livello di welfare e servizi che al cambiamento dei rapporti di produzione, più alla gestione umana del capitalismo che a una sua alternativa. Non per questo da condannare, e non schiacciabile esclusivamente su questo, ma che soprattutto questo costituiva il cuore delle proteste che interessava sponsorizzare nell’occidente liberale. Invece di portare avanti un’analisi critica, separando il grano dall’oglio, combattendo il racconto liberale e la parte liberale di quelle proteste in favore della parte proletaria, dei senza casa o dei senza lavoro, molti compagni (non tutti, forse neanche la maggior parte, ma molti), si accontentavano di seguire il flusso informativo, adeguandosi alla triste e quanto mai dannosa pratica del boicottaggio mediatico lava-coscienze. Fosse la scelta di coscienza individuale di questo o quel compagno poco male. Il problema è che iniziative del genere rafforzano, da sinistra, il pensiero egemone, quel pensiero che si è appropriato del concetto di “protesta” in chiave liberale, producendo l’assuefazione culturale per cui la gente, nel mondo, vuole lottare non più per la rivoluzione o il cambiamento sociale ma per instaurare forme di democrazia liberale laddove questa viene negata (il più delle volte da “regimi di sinistra”). Dopo aver ri-semantizzato il concetto di “riforma”, divenuto l’incubo di milioni di proletari ma ammantata da operazione progressista quindi per definizione “di sinistra”, oggi la cultura politica prodotta dalla borghesia sta facendo lo stesso con il concetto di “protesta”. A questa operazione revisionista va contrapposta una battaglia culturale, non un adeguamento mortale per le nostre ragioni.
Terminavamo il ragionamento dicendo questo: “dal 14 luglio il Brasile tornerà ad essere ricordato per le sue spiagge e i suoi calciatori. Così come l’Egitto, la Turchia, la Tunisia, la Libia: finiti i titoli di giornale, terminerà anche l’interesse intorno ad essi. In attesa del prossimo boicottaggio.” Oggi questa (facile) profezia si è puntualmente avverata. Il triplice fischio della finale mondiale si è portato con sé non solo la vittoria sciagurata dalla Germania imperialista, ma anche l’interesse per ciò che sta accadendo in Brasile. Proprio in queste settimane è in corso la violentissima campagna elettorale per l’elezione del prossimo presidente della Repubblica. Una campagna che i media e gli opinion makers occidentali descrivono come lotta di tutta la politica e il popolo brasiliano contro la presidentessa Rousseff, che gode ancora di certo prestigio solo perché distribuirebbe a pioggia aiuti alle popolazioni povere del nord-est del paese. Senza voler minimamente difendere l’operato politico della presidente socialista, ci saremmo però aspettati, da tutti coloro che a giugno si erano infervorati delle vicissitudini politiche del Brasile, qualche ragionamento politico, delle riflessioni in merito, magari anche delle iniziative politiche, anche solo un magico post su Facebook. E invece, il silenzio. Qual è la vera posta in palio dell’elezioni brasiliana? Non una domanda di poco conto, visto che riguarda la nona o ottava economia del mondo, duecento milioni di persone, di cui più di cento in condizioni di semi-schiavitù. Un paese attorno al quale ruota il destino del continente latinoamericano, e che dunque deve riguardare anche noi come sinistra, visto che proprio da quel continente sono arrivate in questo decennio le spinte più originali e vincenti per ripensare il concetto stesso di sinistra di classe. E invece, il silenzio. In attesa del prossimo boicottaggio.