Prime notizie da Ras Jadire…
Come abbiamo scritto qualche giorno fa, un nostro compagno è partito con la carovana italiana che sta portando aiuti umanitari al campo profughi di Ras Jadire, situato in Tunisia, al confine con la Libia. Al suo ritorno, ovviamente, butterà giù un’analisi su quanto sta avvenendo in quei territori. Intanto, però, ripostiamo il report pubblicato ieri dai compagni di Action, dopo che la carovana è giunta al campo, a circa 100 km da Tripoli.
da actiondiritti.net
Tunisia: suggestioni dal sud-est
10 Aprile – Sgombriamo il campo da ogni dubbio: i giorni passati in terra tunisina non possono dirsi sufficienti per tirare conclusioni su quanto sta avvenendo nell’intero mondo arabo. I simboli di una storia che abbiamo conosciuto attraverso i media europei, li abbiamo ritrovati in questi due giorni. Le piazze e le strade di Tunisi, i giovani , protagonisti della rivolta, la religione, la polizia, l’esercito, il deserto e le città del sud, i campi profughi e il confine libico, i “martiri”, fino alle bandiere verdi di Gheddafi, in fondo la guerra.
I simboli e le parole – rivolta o rivoluzione; non è chiaro quando tutto ha avuto inizio, chi sono i protagonisti del cambiamento. Esistono già traditi e traditori, governo di transizione e profughi, la speranza in una Tunisia nuova o una democrazia che sta nascendo già falsa.
Elementi e figure che delineano una nuova prospettiva di cambiamento, che si mescolano alla voglia di partecipazione ad un passaggio che si mostra nella sua portata epocale.
L’obiettivo della nostra presenza è rubare continuamente nuove storie, incrociare sguardi, paesaggi e paesi che compongono il quadro di un drastico cambiamento. La Tunisia è ovunque diversa; questo complica ogni tentativo di sintesi.
Insomma, non risulta facile darsi delle coordinate quando fino a ieri ci trovavamo a discutere con i protagonisti delle rivolte studentesche ed oggi, dopo un’estenuante viaggio di 600km tra le aride terre del sud, ci siamo catapultati nella cruda realtà del confine di Ras Jadir, 100 km da Tripoli, di fianco al quale sorgono quattro campi profughi.
Bombardare in terra, uccidere, respingere in mare, uccidendo di nuovo. Siamo arrivati in Tunisia mentre Maroni e Berlusconi l’abbandonavano, forti del nuovo accordo trovato, bloccando la speranza di chi cerca un futuro più certo in Europa. Siamo arrivati in Tunisia, saturi delle polemiche che hanno accompagnato l’arrivo in Italia dei profughi tunisini. Lampedusa prima, Manduria poi, carceri a cielo aperto per reprimere la minaccia clandestina che avrebbe dovuto mettere in ginocchio il nostro paese. A questa patetica pantomima made in Italy abbiamo visto opporsi l’attività dei volontari al confine libico: dall’inizio di gennaio oltre 200mila persone – ovvero dieci volte il numero degli arrivi sulle coste italiane – hanno transitato nei campi di Ras Jadir, oltre 1500 persone prestano servizio 24ore al giorno (nonostante la carenza strutturale dei campi e delle risorse medico-farmaceutiche); l’accoglienza in Tunisia è la parola d’ordine improntata alla sensibilità umana, è il tentativo di ribadire che ogni lembo di terra è patria internazionale senza confine, garantendo il diritto al sostentamento e alla mobilità per ogni civile vittima del sistema-guerra.
Le prime impressioni non appena giunti al confine sono state di estrema sorpresa: vuoi perché non sono certamente immagini che siamo abituati a vedere, vuoi perché risulta evidente lo sforzo organizzativo, vuoi perché la situazione al confine libico denota una maggiore attenzione, rispetto al governo italiano, alle problematiche del diritto, della permanenza temporanea e del transito dopo l’accoglienza.
Il rapporto tra i paesi arabi in fermento, il tema della guerra e delle rivolte e i nessi con le vicende migratorie, Tunisi e le città del sud, i giovani tra governo transitorio e i residui del regime di Ben Ali, i campi profughi, la solidarietà tunisina e il diritto di rifugiati. Queste sono le questioni che ci sembrano centrali e cercheremo di raccontare in modo dettagliato con i prossimi focus.
Uniti per la libertà