professione “warrunner”
Da qualche settimana il Corriere della Sera dedica le ultime due pagine dell’inserto letterario domenicale alle biografie artistiche dei nuovi autori dell’immaginario. E’ in questo modo che siamo venuti a sapere dell’importanza degli showrunner, figure centrali dell’industria televisiva di cui onestamente ignoravamo l’esistenza e che invece sarebbero alla base del nuovo periodo d’oro della serialità made in USA. Come ci spiega Aldo Grasso infatti lo showrunner è qualcosa di più di un semplice sceneggiatore, è il perfetto compromesso tra il concetto letterario d’autore e quello industriale di produttore, è quello che controlla l’intero processo di produzione di un telefilm, che lo fa “correre”; spesso ne ha concepito l’idea originale, ne segue poi gli sviluppi, supervisionando sia gli aspetti creativi (scrittura degli episodi, gestione del cast, pianificazione degli archi narrativi) che quelli organizzativi e industriali. Insomma un buon showrunner è un ingrediente indispensabilele per il successo di un telefilm ed è anche quello che, tanto per capirci, poi fa la differenza fra un prodotto avvincente come Dottor House e una pacchianata stile Un medico in famiglia. Hai capito ‘sti yankee, certo che qui non si finisce mai d’imparare! A questo punto non ci stupiremmo più di tanto se fra qualche tempo venisse fuori che anche le cancellerie occidentali utilizzano abitualmente figure simili per condurre le loro guerre mediatiche, qualcuno come il Dustin Hoffman di Sesso e Potere, un film che per come la vediamo noi andrebbe proiettato a forza (stile rieducazione di Alex in Arancia Meccanica) nella scuola quadri di più di un’organizzazione della cosiddetta sinistra radicale. Insomma, dei veri e propri “warrunner” intenti a scrivere copioni capaci di travestire gli appetiti delle multinazionali e il loro continuo tentativo di tener su il saggio di profitto in una lotta per i diritti umani. A giudicare dagli ultimi avvenimenti sembrerebbe però che i migliori scrittori se li sia accaparrati Hollywood e che proprio non se li lasci sfuggire. Eh già, perché qui più che sul set di The Wire sembra di essere su quello di Beautiful, sempre lo stesso schema trito e ritrito, sempre lo stesso escamotage narrativo… mai una novità, mai un coup de théâtre… che barba che noia che noia che barba avrebbe commentato la Mondaini. In poche parole il fatto è questo: come tutti sapranno da diversi mesi in Siria è in corso una guerra civile alimentata ad arte ma che col passare del tempo ha finito col prendere una piega che a molti, tanto in occidente che in medio oriente, proprio non piace, e così l’agognato regime change stenta ad arrivare. Nonostante i rispettivi alleati (Russia, Cina, Iran, Alba, Hezbollah da una parte; Nato, petromonarchie, fratelli mussulmani e sinistra dirittoumanista dall’altra) nessuna delle due fazioni sembra avere la forza per prevalere sull’altra e si è pertanto arrivati ad un’empasse narrativa che fatica a sbrogliarsi, anche perché il veto di Russia e Cina al consiglio di sicurezza dell’Onu impedisce una soluzione “libica” del conflitto. Che fare allora? Si saranno chiesti i nostri “warrunner”. Ed eccola lì, l’idea sempre uguale a se stessa, come Brooke che sposa l’ennesimo Forrester: le armi di distruzione di massa. Tanto quelle al pubblico piacciono sempre. E così dopo Obama, il “progressista Obama”, anche Hollande, il “compagno Hollande”, ha ribadito che nel caso la Siria disponesse di armi chimiche non ci sarebbe veto Onu che tenga e si arriverebbe immediatamente ad un intervento militare. Ma no cavolo! Un po’ di creatività… per dio, ci manca solo che ritirano fuori Colin Powell con la provetta di finta antrace. La cosa più incredibile però non è tanto che ci venga riproposto il remake del remake, ma che anche a sinistra ci sia chi fa la fila per vederlo!