Qualche valutazione intorno al corteo e al prossimo controsemestre
In concomitanza con l’elezione del presidente della Commissione Europea, dell’avvio del semestre europeo di presidenza italiana, e proprio nel mentre della celebrata vittoria renziana nelle trattative sulla linea politica europea dei prossimi anni, sabato si è aperto anche il controsemestre popolare. Un corteo importante, che come tutti i cortei dal 19 ottobre scorso ad oggi ha mostrato più limiti che potenzialità, ma che comunque segna l’avvio di un percorso di lotta per niente facile da organizzare e su cui è doveroso ragionare senza inganni retorici o false (auto)rappresentazioni.
Guardando all’agenda politica “ufficiale”, il corteo ha avuto la capacità di inserirsi perfettamente nel timing dettato dalle dinamiche di potere. Come detto, tra il 27 giugno ed oggi si sono sciolti alcuni nodi dirimenti della politica europeista, quella stessa politica che determinerà lo stato di cose presenti nei singoli contesti nazionali, il modello di sviluppo e le sue ricadute sulle fasce popolari. L’elezione di Junker, in fondo, è l’elemento meno rilevante. Molto più interessante interpretare la presunta vittoria di Renzi in Europa. Il ricatto imposto ai “paesi deboli” dal processo di unificazione europeista, e cioè la concessione di maggiore flessibilità finanziaria riguardo allo sforamento del fatidico 3% in cambio di un’accelerazione delle politiche neoliberiste, viene fatta passare come “vittoria” di tali paesi, mentre in realtà rappresenta l’esatto opposto. Avallando tale processo, ai paesi finanziariamente “deboli” vengono imposte quelle contro-riforme volte a rimodulare il mercato del lavoro, il sistema sociale, nonché avviando l’ennesimo piano di privatizzazioni volto a svendere quote di economia pubblica al settore privato. Nonostante questo fatto determinerà il panorama politico e il tipo di sviluppo economico dei prossimi anni, secondo le statistiche del Corriere della Sera di sabato scorso un italiano su due non è a conoscenza dell’avvio del semestre italiano di guida della UE, e men che meno del dibattito presente all’interno della stessa UE e della posta in palio. Quelle che vengono percepite come futili discussioni di palazzo, inerenti una sfera della politica sempre più distante dai cittadini, sono in realtà il cuore del potere europeista che decide su se stesso, nella totale indifferenza della popolazione europea.
Questa breve introduzione è necessaria per cogliere l’importanza di una mobilitazione che ha cercato, e cercherà per tutto il controsemestre, di tenere alta l’attenzione su queste dinamiche, che oggi costituiscono il cuore delle politiche europee per ciò che riguarda lo sviluppo economico nei singoli Stati. Nonostante ciò, anche sabato abbiamo toccato con mano l’inconsistenza delle forze della sinistra di classe di mobilitare qualcosa che non sia la propria base militante, sempre più ristretta. A ricordare le stantie sfilate sindacali, così come la triste cerimonia del corteo autunnale di Rifondazione, fino a un decennio fa, pur nella loro sostanziale a-conflittualità (da non confondere questa con “scontri di piazza”, sebbene anche quel livello vada praticato e mantenuto), un pregio ce lo avevano: quello di portare in piazza centinaia di migliaia di persone. Quella di raffigurare plasticamente un’opposizione popolare, magari silenziata dalle scelte di dirigenze politiche fallite, ma viva, concreta, esistente. Oggi quei numeri sono un lontano e sempre più sbiadito ricordo. Centomila persone, che fino ad un decennio fa rappresentavano il “minimo sindacale” da raggiungere, oggi costituirebbero il sogno di qualsiasi soggetto politico. Dobbiamo dunque ragionare su questo scenario, cercando invertire la tendenza, consci che sarà un lavoro lungo e che non darà frutti immediati.
Tutti i cortei, quantomeno romani, che sono seguiti al 19 ottobre scorso, non hanno visto mai il superamento delle 10.000/15.000 persone. Il corteo di sabato si inserisce in questo solco. Difficilmente quantificabile in termini di numeri: la questura ha riferito di 4.000 persone, mentre alcuni organizzatori hanno dichiarato 8.000. In linea di massima, dunque, un corteo di circa 6.000 persone. Un corteo dignitoso dunque, ma che certo si inserisce in una parabola discendente della partecipazione politica da cui non possiamo non partire per valutare queste mobilitazioni. Per di più, numeri di questo tipo, organizzati attorno ad una piattaforma molto politica come quella del controsemestre, che non parte da lotte esclusivamente territoriali, possono essere letti in maniera positiva, ed in effetti confermano le previsioni della vigilia, che certo non si aspettavano folle oceaniche.
Il problema, nel corteo di sabato, non sono i numeri, ma la composizione. La difficoltà di una certa sinistra di mobilitare al di fuori della propria base militante si è espressa in tutta la sua evidenza. Un corteo di soli militanti, compagni, per di più da varie parti d’Italia, che però non è riuscito ad intercettare settori popolari, non è stato capace cioè di inserirsi in quella diffusa opposizione alle politiche neoliberiste della UE: questo è il dato critico da cui partire. Certo, era solo il primo passaggio, per di più oscurato o criminalizzato dai media, dunque non era certo immaginabile niente di veramente differente. Ma se c’è una direzione verso cui dovrà marciare l’organizzazione del controsemestre, questa sarà quella di declinare nelle lotte sociali, territoriali, sindacali, il tema dell’opposizione alla UE. C’è tutto il tempo ma, allo stesso modo, è qui che si gioca la partita. E questa partita non è possibile giocarla con l’esclusivo apporto delle forze politiche scese in campo ieri. Forze politiche che da anni hanno perso qualsiasi internità nelle contraddizioni sociali, difficilmente potranno recuperarla per questo controsemestre. E’ necessario allora un allargamento del fronte, un dialogo con altri pezzi di società, una parte di quelli intercettati dal M5S, oppure rifluiti nell’astensionismo senza presa di coscienza politica.
A differenza delle trite manifestazioni sindacali e politiche, però, quella di sabato non è stata una semplice sfilata pacificata. Durante il percorso diverse azioni sono state prodotte, proprio per colmare la distanza esistente tra l’indicazione politica data dagli organizzatori e i soggetti sociali a cui si rivolgeva. Striscioni sul salario accessorio, lotta che ha caratterizzato la primavera romana dei dipendenti pubblici, così come l’azione, nei pressi del Campidoglio, del “Comitato Operaio AMA” contro la futura privatizzazione della municipalizzata dello smaltimento rifiuti. Proprio il nostro lavoro dentro l’AMA si inserisce nel ragionamento precedente, cioè quello di definire il nemico delle quotidiane lotte sociali e sindacali e di sviluppare lotte che non siano esclusivamente economiciste. Perché il futuro dell’AMA è determinato dalle decisioni di Renzi a Bruxelles degli scorsi giorni, e cioè il procedere alla privatizzazione garantendo, attraverso lo sforamento del 3%, margini di mediazione politica tale da disinnescare il probabile conflitto con elargizioni una tantum, sullo stile degli 80 euro al mese in busta paga.
I momenti di tensione finali verso la Commissione Europea confermano la volontà radicale di parte della manifestazione. Sebbene la presenza davanti la Commissione fosse prevista dalla trattativa con la Questura, questa veniva negata a corteo finito, provocando l’indignazione di una parte dei manifestanti che hanno cercato comunque di arrivare sotto il portone della sede romana della Commissione Europea (già sanzionato due giorni prima da ignoti). Nonostante i numeri non consentissero grandi alternative, vista anche la sproporzione di forze dell’ordine in campo, è evidente che il segnale lanciato sia stato colto. Anche le mobilitazioni politiche hanno urgenza di esprimersi in termini conflittuali, intelligentemente e puntando a riempire quel vuoto di partecipazione di questi anni. Con sabato si potrebbe aprire una nuova fase. Da settembre sta a noi, intesi come pezzi sparsi dei movimenti di classe, riempire questo vuoto politico mettendo in campo tutto il nostro potenziale conflittuale. Non esiste alternativa possibile al carro armato renziano in piena espansione. O procederemo verso una sintesi politica delle lotte capace di essere alternativa alla visione dominante, o il PD ingloberà anche il rifiuto per “il palazzo” e le istanze di cambiamento provenienti dai vari settori popolari, oggi più attratti dagli 80 euro che da prospettive di lotta