Quando i tifosi interrompono il giocattolo televisivo
Oggi il Genoa, quart’ultimo in campionato e sotto di quattro gol in casa col Siena, sua diretta concorrente per la salvezza, è stato pesantemente contestato dai propri tifosi al Marassi. Subito, l’interruzione della partita è stata descritta in termini apocalittici da tutti – tutti – i commentatori sportivi, i giornalisti, pallonari vari e hostess televisive, camerieri e servitori che si aggirano nel magico mondo dello sport televisivo.
Non entriamo nel merito, vorremo però porre subito in chiaro come stanno le cose per noi:
1) I tifosi, organizzati o meno, hanno tutto il diritto di contestare, pacificamente o meno, la loro squadra di calcio se questa non si comporta dignitosamente in campo. Che non significa vincere le partite, ma portare rispetto ai propri sostenitori che consentono a tutto il carrozzone di andare avanti e ai giocatori di essere pagati
2) Per noi, i veri “proprietari” delle squadre di calcio rimangono i tifosi che le seguono. Hanno quindi tutto il diritto di esprimersi nel modo che ritengono opportuno, se questo atteggiamento è dettato solo dal tifo e dalla passione di una persona verso la propria squadra del cuore
3) Senza i tifosi, cioè persone che pagano per vedere la propria squadra di calcio (come di qualsiasi altro sport), non esisterebbero i giocatori, i presidenti, gli allenatori, i diritti televisivi, i programmi sportivi, il merchandising, le soubrette, ecc… Non sono dunque una variabile a sé, ma sono i diretti interessati di ciò che succede in campo e nella vita di una società
4) Il fenomeno del tifo organizzato può essere benissimo criticato, dileggiato o minimizzato, e che il calcio sia il nuovo “oppio dei popoli” non lo scopriamo certo adesso. Rimane il fatto che il tifo organizzato è uno dei modi d’espressione di vitalità collettiva più potente che abbiamo avuto in Italia da molti anni a questa parte. Non è il calcio, lo stadio o le curve a rendere “impolitici” o “disattenti” i frequentatori delle curve, e dunque non vale l’assioma per cui la fatica sprecata in curva potrebbe essere riversata nelle piazze per temi più “importanti”. Chi, come alcuni di noi, sono o sono stati parte di tifoserie organizzate non hanno mai posto la questione della militanza politica in contraddizione con quella di curva. Non è una o l’altra, ma l’una e l’altra, e così è anche per gli altri tifosi. In particolare poi per una tifoseria storicamente di sinistra, antirazzista e antifascista come quella genoana, che dimostra esattamente come si può essere ultras e compagni senza per questo essere in conflitto con se stessi
5) Le curve sono piene di contraddizioni e diversità, ma è innegabile che la maggior parte dei suoi frequentatori proviene dalla nostra stessa classe di riferimento, e per fare politica e *capire* la classe è necessario anche andare dove questa si riunisce collettivamente. La curva è uno di quei posti, uno di quei posti più importanti. Dunque, se una parte del proletariato si riconosce nei valori della vita collettiva del tifo organizzato, con le sue regole, i suoi miti, le sue leggi e le sue espressioni, queste più che snobbate andrebbero analizzate. E non stiamo dicendo che siano valori o leggi positive, ma che vanno analizzate senza la puzza sotto il naso per cui ciò che proviene dal mondo degli stadi è ontologicamente inferiore a ciò che proviene dalle piazze
Per tutto questo, oggi siamo vicini ai tifosi del Genoa criminalizzati dalle televisioni, che non possono tollerare un’interruzione momentanea di una partita, perché il “gioco deve andare avanti”, ne vale dei diritti televisivi e dei guadagni delle multinazionali dell’informazione.