Roma deve cambiare

Roma deve cambiare

 

L’assemblea popolare convocata per domani in Campidoglio dalle reti sociali e sindacali resistenti della città (Carovana delle Periferie, Usb, percorso Decide Roma, Rete dei comitati popolari contro la devastazione ambientale e le grandi opere, eccetera) potrebbe segnare, e noi lo auspichiamo, un momento importante della mobilitazione per la discontinuità che tanto è stata rivendicata ed evocata negli ultimi mesi dalla massa di abitanti delle periferie romane. Non è certo una novità che si faccia un’assemblea sotto il governo capitolino: quante volte cortei dei movimenti sociali, a partire dai Movimenti di lotta per la casa, si sono conclusi sotto il palazzo del sindaco, ma questa volta la pubblica assemblea al Campidoglio vuole dare un segnale alla città e alla Giunta: che è possibile cambiare, e si deve svoltare radicalmente rispetto al recente e lontano passato. Questo appuntamento non è un evento per contarci o per portare all’attenzione una battaglia, una vertenza particolare, una lotta; è l’apertura di un processo, che deve vivere nei territori, rivendicare la piattaforma sociale della discontinuità, premere su di un’amministrazione che sta fallendo nel suo obiettivo più ambizioso: non “governare bene” (e non lo sta facendo), ma rompere la continuità politica, economica e istituzionale, promessa sulla quale aveva vinto le elezioni.  Ma questa piattaforma vive e si rende potenza sociale solo se si dà un processo unitario, dal basso, che non si ferma al particolare e si accontenta, ma pone alla città e alla giunta Raggi le questioni imprescindibili per invertire la rotta. Non è una giornata vertenziale allora, è un momento politico che punta a essere processo sociale nella città. Invertire la rotta è una necessità. Attuare il programma sociale per il cambiamento è la sfida che ha di fronte un movimento di classe e di opposizione cittadino. La contestazione della filosofia e della pratica ricattatoria del debito e dei vincoli di bilancio, la lotta alla privatizzazione dei servizi municipali, la costruzione di un piano metropolitano per il lavoro, la definizione di consulte e comitati popolari di controllo con poteri di indirizzo sulle decisioni del governo metropolitano sono parte essenziale, sostanza del cambiamento. Ma questo, per non rimanere una suggestione, un’evocazione buona per qualche evento fine a se stesso, deve vivere nella città, si deve dare delle gambe e fare passi concreti.

Non andiamo al confronto con la Giunta solo per lamentarci di come stanno andando le cose nella città, non saremo al Campidoglio per invocare solo coerenza e attuazione del programma elettorale, con cui la Raggi ha vinto soprattutto nelle periferie; andremo, innanzitutto, a porre il problema della partecipazione, del coinvolgimento dei cittadini e dei lavoratori nelle decisioni che vengono e verranno prese nella città. Non si può intraprendere nessun cammino reale per il cambiamento se non ci sarà un movimento popolare, sociale, territoriale e sindacale in grado di segnare e condizionare l’agenda di governo capitolina. La sfida, che raccogliamo e lanciamo insieme ad altri, è di aprire un processo di organizzazione, di consulta, di controllo popolare a partire dai governi municipali per salire fino alla giunta. Abbiamo in questi mesi più volte parlato di discontinuità con il vecchio e disastroso governo liberista, ma ci sembra di vedere molto poco a 100 giorni dall’elezione della sindaca. I segnali che giungono da varie vertenze non sono confortanti, anzi indicano un agire della giunta contraddittorio, e molto spesso concentrato principalmente nella risoluzione di battaglie interne, interessato a sopravvivere ma non a “vivere” davvero. Ma il punto politico di fondo su cui la giunta sta palesemente annaspando è sull’idea politica che guida la sua azione. E’ il pensare che la politica è un’amministrazione ben condotta, un’amministrazione più efficiente, onesta e razionale del governo degli uomini e delle cose, un po’ come l’amministrazione di un numeroso condominio, in cui l’importante è non rubare, essere onesti e trasparenti (anche qui, peraltro, contraddicendosi quotidianamente). Da ciò ne discende conseguentemente che la giunta si fa mettendo insieme i “migliori professionisti”, i “tecnici” che presentano i migliori curricula. Questa visione idealistica, nella sua accezione più volgare ed evanescente, in realtà rischia di fare rientrare dalla finestra ciò che, almeno sul piano degli intenti, si era cacciato dalla porta principale: il pensiero liberista. Anzi, si scivola gradualmente verso una forma più “presentabile” di governo tecnocratico della città ponendo fine a ogni pratica di discontinuità. Con questi presupposti non si va lontano, e i vari avvoltoi del comitato d’affari cittadino, con le loro emanazioni giornalistiche, e le residuali lobby politiche, una volta molto potenti, hanno gioco facile nell’alimentare sfiducia, malessere con l’obiettivo dichiarato di far implodere la giunta. A quel punto la strada più probabile sarebbe il commissariamento della città e il ristabilimento dei vecchi equilibri e clientele. Se si vuole evitare tutto questo, Roma deve iniziare a cambiare, non ci sono più scuse legate a inesperienza, incompetenza, ingenuità o complotti.