Roma, Trony e il carattere di feticcio della merce…
Risse, spintoni, vetrine in frantumi, il traffico impazzito, code chilometriche in tutta Roma nord, la tangenziale est chiusa da San Giovanni, il Grande Raccordo Anulare bloccato e migliaia di lavoratori e studenti fermi nelle loro macchine o sui mezzi pubblici ad accumulare stress e ore di ritardo. No, non stiamo riproponendo alla moviola le gesta dei “bleccheblocche”, ma facciamo la cronaca di una ordinaria mattinata di follia nella Roma di Alemanno. Il sindaco tutto d’un pezzo, quello che vieta i cortei e poi fa affogare la città per le piogge improvvise perchè non pulisce i tombini, quello che lamenta lo scempio per una madonnina di gesso da 50 euro andata in frantumi e poi permette l’apertura del più grosso Trony d’Italia a Ponte Milvio paralizzando mezza Roma. Aspettiamo a breve il Daspo per chi compra un cellulare e una bella ordinanza restrittiva che vieti i televisori a schermo piatto almeno per un mese. Tornando seri crediamo che ogni commento moralistico sul fatto che migliaia di persone si siano accalcate per entrare nell’ennesima cattedrale del consumo risulterebbe inutile oltre che pedante, molto meglio riflettere, invece, su quanto scriveva più di cento anni fa a tal proposito il vecchietto di Treviri: L’arcano della forma di merce consiste dunque semplicemente nel fatto che tale forma rimanda agli uomini come uno specchio i caratteri sociali del loro proprio lavoro trasformati in caratteri oggettivi dei prodotti di quel lavoro, in proprietà sociali naturali di quelle cose, e quindi rispecchia anche il rapporto sociale fra produttori e lavoro complessivo come un rapporto sociale di oggetti, avente esistenza al di fuori dei prodotti stessi. Mediante questo quid pro quo i prodotti del lavoro diventano merci, cose sensibilmente sovrasensibili cioè cose sociali. Proprio come l’impressione luminosa di una cosa sul nervo ottico non si presenta come stimolo soggettivo del nervo ottico stesso, ma quale forma oggettiva di una cosa al di fuori dell’occhio. Ma nel fenomeno della vista si ha realmente la proiezione di luce da una cosa, l’oggetto esterno, su un’altra cosa, l’occhio: è un rapporto fisico fra cose fisiche. Invece la forma di merce e il rapporto di valore dei prodotti di lavoro nel quale essa si presenta non ha assolutamente nulla a che fare con la loro natura fisica e con le relazioni fra cosa e cosa che ne derivano. Quel che qui assume per gli uomini la forma fantasmagorica di un rapporto fra cose è soltanto il rapporto sociale determinato fra gli uomini stessi. Quindi, per trovare un’analogia, dobbiamo involarci nella regione nebulosa del mondo religioso. Quivi, i prodotti del cervello umano paiono figure indipendenti, dotate di vita propria, che stanno in rapporto fra di loro e in rapporto con gli uomini. Così, nel mondo delle merci, fanno i prodotti della mano umana. Questo io chiamo il feticismo che s’appiccica ai prodotti del lavoro appena vengono prodotti come merci, e che quindi è inseparabile dalla produzione delle merci.