Se muore un operaio, la colpa è del padrone
Bruno Moltaldi è il numero 235: 235 sono infatti i lavoratori morti, dall’inizio del 2011 a ieri, sul loro luogo di lavoro. 455 se si aggiungono tutti quei lavoratori morti mentre si recavano o tornavano da lavorare (leggi). Una strage, come non ci stancheremo mai di ripetere. Una strage non casuale, non accidentale, non involontaria, soprattutto non inevitabile: si tratta di 235 omicidi, omicidi volontari nella guerra del Capitale contro i lavoratori.
Bruno Montaldi è morto in circostanze ancora non chiare: residente in Abruzzo, lavorava a Roma, nel cantiere della linea B1, per una ditta napoletana – la Icoteckne – che ha in subappalto una parte dei lavori per la costruzione di questo nuovo tratto di metropolitana. È morto durante un turno di lavoro notturno, tra sabato e domenica, in circostanze ancora non chiare: è stato trovato, infatti, da un collega che iniziava il turno di mattina, in fondo ad una cisterna contenente azoto liquido, a 40 metri di profondità.
Subito Roma Metropolitane ha scaricato ogni tipo di colpa, alludendo in un comunicato ad una presunta responsabilità dell’operaio morto: «Il tecnico deceduto è stato trovato all’interno del pozzo, in un luogo dove lui non operava e dove anche lui non era autorizzato a scendere» (leggi), scrivono, «forse un impulso, un istinto lo ha spinto a spingersi lì» (leggi), come se agli operai piacesse rischiare la vita compiendo operazioni che non sono tenuti a fare. Altri parlano di «un gesto inconsulto e fuori da ogni ragionevole logica di sopravvivenza» (leggi). Avranno uno spirito avventuroso e un po’ incosciente questi operai, saranno amanti del rischio.
Se non si parlasse di tragedie, sarebbe quasi comico il fatto che – in ogni caso – le responsabilità vengano scaricate sull’incuria o l’avventatezza dei lavoratori morti. Del resto, era lo spot ministeriale sulla sicurezza sul lavoro che recitava che la pretende «chi si vuole bene» (vedi), no? Evidentemente i lavoratori che muoiono non se ne vogliono abbastanza.
Anche i media si fanno portavoci e megafoni delle posizioni dell’azienda: emblematico “Il Tempo” che, come altri quotidiani, esordisce affermando che «non è chiaro se anche lui sia una vittima del lavoro oppure qualcos’altro» (leggi). Di cosa altro potrebbe essere vittima, di una congiuntura astrale negativa?
L’apice dello squallore è raggiunto dalle dichiarazioni di (finta) solidarietà: parole stereotipate che suonano vuote. ed ipocrite In primo luogo quelle di Gianni Alemanno, che raccogliendo la proposta del segretario generale della Filca Cisl di Roma (!!), ha affermato che gli sembra una buona idea quella di intitolare a Bruno Montaldi la nuova stazione della metropolitana che sarà aperta nei pressi del luogo della sua morte. Non una richiesta di punizione dei responsabili, dunque, ma una intitolazione senza senso per scaricarsi la coscienza, tanto più che Alemanno stesso si è affrettato ad affermare che «da un primo esame dei fatti non ci dovrebbero essere responsabilità da parte dell’impresa appaltatrice e dello staff tecnico» (leggi). In secondo, quelle di Polverini, che considera le morti sul lavoro una sconfitta per le imprese e per le istituzioni, prima che per i lavoratori: detto da una che, per quanto fascista, ha fatto carriera politica come sindacalista è molto indicativo.
Non una parola sul sistema perverso di appalti e subappalti al ribasso che risparmiano sulla sicurezza, non un’indicazione chiara delle responsabilità, non una domanda su dove fosse e cosa stesse facendo – visto che non si sarebbe accorto di niente – l’altro lavoratore che secondo la prassi doveva stare con Bruno Montaldi (leggi). Lavoratore rumeno che, sempre secondo Roma Metropolitane, non sarebbe stato neanche avvertito da Bruno Montaldi della sua discesa nella cisterna.
Non sappiamo ancora quale sia stata la dinamica dell’incidente, se Bruno Montaldi sia caduto o sia rimasto intossicato da una perdita di azoto mentre scendeva per svolgere una di quelle mansioni non previste dal contratto ma richieste subdolamente dalle imprese. Una cosa ce l’abbiamo però ben chiara: se muore un operaio, la colpa è del padrone.