S’è svejato Pagnoncelli
Buon ultimo, anche Nando Pagnoncelli dalle colonne del Corriere della Sera (3 febbraio 2014) mette in guardia sui problemi di rappresentanza, se la riforma proposta da Renzi&Berlusconi dovesse andare in porto. Il fatto è che se anche organi come il Corriere aprono una discussione sull’eccessiva distorsione generata dalla legge elettorale proposta, allora c’è davvero un problema. Un problema grave. Secondo l’esperto di sondaggi, qualsiasi sia il risultato elettorale che uscirà alle prossime elezioni, i partiti rappresentati alla Camera saranno solo quattro. Infatti l’unico modo che avrebbero i partiti minori di essere rappresentati sarebbe quello di superare il 5% a livello nazionale, quota al momento difficile per qualsiasi struttura politica. Il problema, uno dei molti, è che proprio il rischio di non superare tale soglia porterà i partiti minori ad essere inglobati da quelli maggiori, evitando il rischio di correre in proprio e preferendo una certa quota di eletti all’interno di altre liste elettorali piuttosto che presentarne di proprie. Questo è solo uno degli aspetti platealmente distorsivi della legge. Quello principale viene indicato subito dopo, e non possiamo che condividerlo: “la coalizione vincente rischia di essere rappresentativa solo di una minoranza del paese”. Se n’è accorto pure Pagnoncelli, e meglio tardi che mai, potremmo aggiungere. L’esempio che porta a sostegno delle sue ragioni è poi davvero inquietante: con una percentuale di voti validi (quindi di voti totali meno le schede bianche e nulle) vicino al 70%, la coalizione vincente col 37% prenderebbe il 53% dei seggi a disposizione, producendo così un governo di maggioranza assoluta votato solo dal 26,5% degli elettori. Degli elettori, sottolineiamo noi, perché se si guardasse alla popolazione totale dei soli elettori, quel 26% andrebbe incontro a ulteriore dimezzamento, visto che alle prossime elezioni politiche, con tutta probabilità, l’astensione si aggirerà intorno al 25%. Lasciamo poi perdere il confronto con la popolazione nel suo complesso, anche quella che non può ancora votare. In sintesi, con circa il 20% dei voti espressi direttamente per la coalizione vincente, questa governerebbe con una maggioranza mai verificata nel sistema politico italiano. E anche qui il ricercatore sembra cogliere un dato che da tempo sottolineiamo anche noi: il governo che uscirebbe dalle elezioni, dominus assoluto dei seguenti cinque anni di legislatura (e senza il problema di essere sfiduciato), avrebbe l’approvazione di circa due elettori e mezzo su dieci. Come dice il nostro Nando, “tre elettori su quattro non si riconosceranno nella coalizione vincente, avendo votato un partito diverso o essendosi astenuti”.
Insomma, per sintetizzare, più il quadro sociale va distaccandosi dalle attuali proposte politiche, più queste moltiplicano gli strumenti di legge per rendere più stabile e definitivo il proprio potere. Più aumenta l’astensione, la dispersione del voto, il voto di protesta e la protesta sociale nel suo insieme, più il sistema politico rafforza se stesso impendendo alla protesta sociale di intaccare la governabilità del sistema nel suo complesso. Insomma, la protesta sociale va bene purchè non giunga a esprimere una rappresentanza, e se anche la dovesse esprimere, questa non deve intaccare gli ingranaggi del potere politico strutturale. L’impossibile governabilità dev’essere quindi imposta artificialmente, non importa più se basata su un consenso reale, perché non importa più generare consenso. L’epoca della società integrata politicamente è davvero tramontata. Se fino agli anni settanta qualcuno parlava di società dei due terzi, analizzando quella parte non integrata della società, oggi il paradigma si è capovolto: sono i due terzi della società a non avere più nulla a che fare con quel tipo di rappresentanza politica, mentre permane un terzo integrato e sostanzialmente soddisfatto dell’attuale proposta politica (nonostante le esigenze di miglioramento che quel terzo chiede all’attuale ceto politico non più presentabile)
Inutile sottolineare come rimanere silenti di fronte a questa controriforma reazionaria costituisca un autogol clamoroso per le possibilità della sinistra di classe di esprimere prima o poi una sua organizzazione che porti la lotta anche a livello politico parlamentare. Non che questo sia presente oggi, ma non si può escludere che lo divenga nel futuro, più o meno prossimo. Con tale riforma, è proprio questo ipotetico futuro ad essere impedito.