Socialismo o barbarie
C’è un legame, una forma di proporzionalità inversa, non soltanto simbolica, tra quanto sta avvenendo in America Latina e in Europa, tra il trionfo (l’ennesimo) di Chavez e la scomparsa della sinistra europea, tra il socialismo del XXI secolo e l’ondata xenofoba e securitaria che investe il vecchio continente. Alla crisi di egemonia del capitale e delle sue politiche neoliberiste, che alla fine degli anni ’90 portò alla ribalta mondiale il cosiddetto “movimento dei movimenti”, la sinistra latinoamericana ha saputo dare risposte concrete che si sono via via trasformate in progetti di società. In quell’altro mondo possibile di cui tanto si dibatteva nei forum sociali mondiali. Mentre da noi quell’enorme accumulo di forze, o come direbbe un fisico, di energia potenziale, è stato malamente dissipato, tanto che oggi sembra passata un’era geologica dalla giornate di Praga, Napoli, Genova… Com’è successo? A nostro avviso la divaricazione è stata prima teorica e poi, di conseguenza, pratica. Un intero movimento è stato affabulato da analisi tanto suggestive quanto scollate dalla realtà. L’inattualità della legge del valore e la conseguente fine del lavoro, la scomparsa delle classi sostituite da un’indistinta “moltitudine”, la fine dell’imperialismo per il sopraggiungere dell’impero, l’illusione di poter trasformare il mondo senza prendere il potere… e chi più ne ha più ne metta. I fatti, diceva un vecchietto di Treviri, hanno la testa dura e si sono presi la briga di dimostrare quanto inadatte a interpretare il mondo fossero queste “nuove” categorie e i risultati, purtroppo, sono sotto gli occhi di tutti. Il conflitto, acuito dalla crisi, ha difatto smesso di essere “verticale” (tra le classi) e si è fatto “orizzontale” (nella classe). Proletari italiani messi contro lavoratori stranieri. Quello che sta avvenendo in questi giorni a Roma è paradigmatico, la bestialità di qualche individuo viene presa a pretesto per pogrom razzisti. Lo straniero diviene il comodo capro espiatorio su cui scaricare le responsabilità e i costi della crisi; e mentre le organizzazioni fasciste cercano di rappresentare l’estremizzazione di un senso (troppo) comune, la borghesia italiana, per mezzo del governo, vara decreti e pacchetti sicurezza che hanno come unico scopo quello di spingere milioni di proletari immigrati nell’illegalità. Aumentandone così la precarietà e diminuendone la forza contrattuale, facendone insomma una massa di manovra da utilizzare per contrarre ulteriormente salari e diritti dei lavoratori italiani. Crediamo che il compito dei comunisti, in questa fase, sia dunque quello di riconnettere i diversi segmenti in cui è stata frammentata la classe ricostruendo quella coscienza soggettiva che è una condizione necessaria affinchè i propositi di trasformazione dell’esistente non si trasformino in enunciati triti e ritriti o in proclami velleitari. E per fare questo sarà sempre più necessario guardare, scevri da ogni pregiudizio eurocentrico, a quanto avviene nel continente latinoamericano. Esperienze da cui abbimo tantissimo da imparare.